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La rinuncia del Santo Padre Benedetto XVI al soglio petrino ha creato indubbiamente forte disorientamento nei fedeli e negli stessi cardinali. Come è stato affermato, almeno inizialmente, dal cardinal Dziwisz, già segretario di Papa Giovanni Paolo II, la croce si porta e dalla croce non si scende. A questa reazione istintiva è opportuno che segua una profonda meditazione a partire dalla quale può iniziare una più autentica comprensione del gesto del Pontefice. Ben lontani dal pensare di averla esaurita a distanza di così breve tempo dall’annuncio, proviamo ad enucleare alcuni elementi che ci sembrano importanti.

Il primo elemento attiene al forte dubbio che il Santo Padre sia sceso dalla croce. E’ possibile che questo gesto implichi il portare ogni giorno una croce pesante, forse ancora più pesante, certamente diversa da quella che il Santo Padre ha portato come Pontefice.

Un secondo elemento di valutazione richiede una analisi attenta delle parole del Santo Padre.
I commentatori televisivi e giornalistici si sono concentrati su un aspetto delle motivazioni che hanno condotto Benedetto XVI a questa rinuncia. La stanchezza.
A tal proposito riteniamo possano sussistere pochi dubbi sul fatto che le difficoltà fisiche dovute all’avanzare dell’età possano ostacolare lo svolgimento di un ministero che richiede grande attenzione alle questioni del mondo, alle necessità dei fedeli, alle esigenze della Curia.

Tuttavia se rimaniamo solo in questo ambito rischiamo di non comprendere il valore delle altre parole pronunciate dal Pontefice.
Non basta la stanchezza. La sofferenza. Forse anche la delusione. Il Santo Padre non sembra si sia lasciato vincere da questi stati, sicuramente presenti in tutti gli uomini. Quanti anziani, ma anche giovani, sentono il peso della stanchezza? Dell’età o della malattia? Quanta sofferenza d’animo si prova nel constare che il proprio corpo non risponde più? Quanta sofferenza umana vi può essere in aspettative deluse, tradite, mortificate?
Le ovvie risposte a queste domande autorizzano il Santo Padre, ma in generale gli uomini, a scelte radicali rispetto alla propria missione?

La risposta, che appare assolutamente negativa, la troviamo proprio nelle motivazioni espresse dal Santo Padre.
Questa scelta non è nata semplicemente da un confronto tra sé ed il corpo. Tra l’energia richiesta dal ministero e l’energia disponibile. Quanto da un dialogo intimo tra sé, le sue istanze e Dio.

Il grande assente dai media, che sempre di più si vuole rendere assente dalla Storia, è proprio Dio, con cui il Santo Padre, come lui stesso riporta, si è confrontato ripetutamente. Ed il luogo di questo confronto, dell’incontro è stato la coscienza di Benedetto XVI, quel luogo che la Gaudium et spes afferma rappresentare “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria".
Questo aspetto ci pare assolutamente dirimente.
L’uomo non è chiamato, solo, a rispettare una legge. La legge è importante ma si tratta di quella legge che Cristo è venuto a dare pieno compimento (Mt 5, 17-37) e che consiste nell’amore gratuito di Dio per l’uomo. Un Amore che non è lontano dall’uomo, dalle sue sofferenze e pene, non è distante né tanto meno assente, ma è con noi ed in noi. Non a caso Sant’Agostino afferma, nella sua celebre frase, che Dio è interior intimo meo.

L’incontro tra Dio e un uomo profondamente spirituale, abituato a dialogare con Dio, ad udire costantemente l’eco della Sua parola nel “mormorio di un vento leggero” (1Re 19, 12), rende autentica la scelta del Santo Padre.
Non solo.
La decisione del Santo Padre è un atto che testimonia realmente la totalità della libertà dell’uomo, quella “libertà amorosa e paterna” donataci da Dio il quale “creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà” (Benedetto XVI, in occasione dell’Udienza Generale di mercoledì 30 gennaio 2013). Se il dialogo non avvenisse sulla base della libertà, non sarebbe un dialogo (il cui termine in lingua greca rimanda al lόgos) ma una richiesta di sentenza di un suddito al proprio re.

La libertà dunque, ci insegna concretamente il Santo Padre, diviene totale e permette, potenzialmente, qualsiasi scelta se, in primis, vi è alla base un sincero ed autentico confronto con Dio. Per questo è richiesta una coscienza abituata a dialogare con Dio, ad ascoltare la Sua Parola eterna, il Lόgos eterno, allenata a discernere la Sua voce da altre voci più o meno interessate.

Affinché la scelta sia autentica è richiesto un secondo elemento, anch’esso dirimente.

Non può esserci una libertà contra-legem.
Nella coscienza dell’uomo, insegna la Gaudium et spes, è iscritta da Dio una legge – la legge dell’Amore – che permette di operare il bene e fuggire il male. Solo in presenza di un accordo tra la legge iscritta e la risposta di Dio all’interrogazione dell’uomo, nel medesimo luogo che è la coscienza, vi può essere la certezza della “piena dignità” della scelta e la ragionevole presunzione di una conformità della propria volontà con quella di Dio.

Nel caso del Santo Padre il diritto canonico prevede espressamente la possibilità della rinuncia al soglio petrino. Il Santo Padre non ha “fatto giurisprudenza”, non ha prodotto un atto in contrasto con il diritto canonico o, peggio con il Magistero. Partendo dalla legge e dall’incontro in Cristo con Dio, Colui che ha dato pieno compimento alla legge, Benedetto XVI ha operato una scelta non convenzionale.

L’incontro con Dio nel sacrario della coscienza permette dunque all’uomo di decidere correttamente. Se la decisione fosse in contrasto con la Legge, è possibile che nella coscienza si sia incontrato qualcun altro al posto di Dio oppure, incontrandoLo, abbiamo parlato solo noi senza ascoltarLo.

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