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Questa frase, tratta da un celebre aneddoto della vita del Santo Curato d’Ars, descrive la venerazione che doveva suscitare quel povero prete francese, vissuto durante la rivoluzione. Ed è pensando a Giovanni Maria Vianney che il Papa ha indetto e vissuto questo anno sacerdotale che si è chiuso domenica scorsa. “La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi che aiutino i fedeli a sperimentare l’amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni”. Così, Benedetto XVI pregava in occasione dell’apertura di questo periodo forte, voluto per riflettere, pregare, riscoprire il valore profondo del sacerdozio ministeriale.

Un anno in cui, invece, la Chiesa ha sperimentato gravi turbamenti ed ha visto il suo volto sfregiato proprio dal comportamento peccaminoso e criminoso di alcuni sacerdoti. Quello che doveva essere un anno di preghiera, di ringraziamento, di grazia si è trasformato in un anno di penitenza, di sofferenza, di espiazione.

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Casi della vita, si potrebbe dire. Coincidenze della politica e della storia. Ma per chi crede, nulla è lasciato al caso ed anche lo spirito profetico, quello che dovrebbe animare chi fa le scelte, altro non è che il dono di saper leggere, prima e meglio degli altri, i segni dei tempi. Non è un caso, allora, che la Chiesa sia stata invitata a pregare per i preti, nel momento in cui, proprio dai preti, veniva la massima persecuzione per la Chiesa stessa. Ed il Papa non ha esitato a dirlo. Anzi, compiendo il suo pellegrinaggio a Fatima, ha voluto rinnovare quell’atto di consacrazione a Maria che Giovanni Paolo II fece in piena guerra fredda. Analogie e differenze eloquenti più di ogni discorso, perché se la politica si fa con i gesti più che con le parole, la politica ecclesiastica si esprime nei riti e nelle liturgie, più che in ogni omelia ed in ogni enciclica.
Nel celebre segreto di Fatima, si parlava di una cristianità minacciata ed oppressa dal Comunismo reale, come il giovane Woityla aveva potuto sperimentare. La consacrazione alla Madonna doveva servire per sbaragliare, con la forza della Grazia, quell’accerchiamento di morte. Molti anni dopo, un vecchio Papa si è inginocchiato ancora davanti all’immagine della Vergine e, come il suo predecessore, ha affidato alla forza rigeneratrice della Grazia, la Chiesa, colpita ed assediata. Stavolta, però, la protezione di Maria non è invocata contro una minaccia esterna, ma per vincere quelle persecuzione che vengono dall’interno, dal comportamento dei sui figli più cari: i preti. Se qualcuno avesse detto questa cosa qualche decennio fa, avrebbe sentito l’anatema tuonare contro di lui. Appena qualche settimana fa è stato il Papa a dirlo, nel cuore dell’anno sacerdotale. Ha chiesto perdono in qualità di pastore, ha gridato la sua rabbia in qualità di uomo. Ha sentito le sue carni dilaniate, in qualità di prete. Oggi veste i paramenti del Pontefice massimo e dalla Cattedra di Pietro invita tutti a meditare la figura del “Buon pastore”. Di colui, cioè, che usa il vincastro per sostenere il gregge nei guadi da passare, ed il bastone, per proteggere con forza le sue pecore, dall’assalto dei lupi; soprattutto se mascherati da agnelli. Il riferimento esplicito è ancora alla scandalo dei religiosi pedofili, che oltre ad aver distrutto la vita e l’innocenza di tante persone, hanno minato la fiducia nella Chiesa. Benedetto XVI promette di fare tutto il possibile perché ciò non accada mai più e torna a chiedere perdono a Dio ed ai fratelli.
Tutto questo ha rappresentato il momento più forte e drammatico di quest’anno. Un anno, però, in cui non sarebbe giusto perdere di vista, per la colpa grave di pochi, il tanto bene fatto da molti. Dai tanti sacerdoti che spendono la propria vita per le loro comunità, per coloro che hanno bisogno. Questo è il mistero profondo del Sacerdozio: quello di essere tramite di una Grazia vivificante, di una Presenza reale, attraverso la miseria della caducità umana. “Se noi fossimo coscienti di ciò che si compie per nostro tramite, il nostro cuore non reggerebbe allo spavento”, diceva ancora il curato d’Ars. Ed è per questo, per la forza e per la fiducia che la Chiesa ripone nei suoi Ministri, che è suo dovere pretendere dei “sacerdoti santi”, individuando, allontanando e condannando l’operato iniquo di coloro che si macchiano di colpe orribili. E’ giusto che ciò venga fatto senza esiti e con dolorosa fermezza. Con il bastone; come ha appunto detto il Papa. Ma almeno per oggi, a chiusura di questo anno, non lasciamoci sopraffare soltanto dal giudizio di condanna e ritroviamo anche una parola di gratitudine per tutti quei preti che ciascuno di noi ha incontrato, come presenze amiche, nei momenti importanti della vita. Anche su questo il Papa ha voluto e dovuto riflettere. Ed anche noi possiamo e dobbiamo farlo. Persone fragili come noi, con i nostri difetti e le nostre paure, con le mani trafitte dalla colpa, ma tese per sollevare, per confortare, per benedire. Sollevare, confortare, benedire, non con le loro misere forze. Con quella onnipotente di Dio.
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