Il male e la speranza sono due temi centrali per la fede. È bello a partire da questi temi non smettere di scoprire che la distinzione tra pensiero laico e religioso viene meno, per i pensatori più veri e per il Vangelo. Bruno Forte e Pierluigi Celli si sono confrontati con tali questioni in un dibattito pubblico al Teatro Argentina di Roma   

La domanda sul male ci interroga in quanto persone, credenti o meno: è la domanda di Ippolite, il giovane nichilista dell’Idiota di Dostoevskij. Sta morendo e si chiede quale sia la bellezza che salva il mondo, dove sia la bellezza se un giovane muore di tisi: il principe Miškin, il protagonista, tace e gli sta accanto. Di fronte alla potenza terribile del male e all’apparente assenza di Dio, la fede cristiana guarda al silenzio della passione del Figlio di Dio. Non possiamo evitare tali questioni, tanto meno negarle, altrimenti la nostra fede sarebbe ingannevole e vuota: come gli amici di Giobbe, balbettando ipocrite scuse e bonarie consolazioni. La logica dei doppi pensieri che caratterizza Dostoevskij (come notò Romano Guardini) è la logica della verità che è in Cristo: il silenzio del principe è il silenzio di Cristo. E se la verità fosse fuori di Cristo, sarebbe da preferire Cristo alla verità stessa. Questo l’atteggiamento di chi tenta di pensare seriamente la propria fede.
Bruno Forte e Pierluigi Celli si sono confrontati con tali questioni in un dibattito pubblico qualche giorno fa al Teatro Argentina di Roma. La fede è agone, lotta, e l’agone ha la stessa radice di agape, amore. Lotta e amore sono la sostanza della fede, e la fede è la sostanza della speranza. Si Deus iustus unde malum? E’ una domanda che risuonerà fino alla fine dei tempi. Come si capisce dalla lettura del capitolo 7 della lettera di Paolo ai Romani il tragico è assunto in Dio stesso.
La laicità è costituita dall’assenza di una risposta al dolore, dalla ricerca. Citando un dialogo tratto da un film di Wenders: “voglio sapere chi sei” “ti racconto la mia storia” “ma io voglio sapere chi sei, non la tua storia” “io non sono niente senza la mia storia”. Oggi è difficile avere una storia, e senza una storia da narrare non si ha identità: si può votare e consumare, ma non si ha identità e quindi si è disperati. Le cose accadono, possono accadere solo a chi le sa raccontare. Di qui anche l’importanza dei beni identitari, beni non stimabili come l’onore e le tradizioni, beni che non sono commerciabili e che trascendono gli scambi. Il tempo per le nuove generazioni è un dono, come anche la speranza, e la sincerità, cioè la possibilità per chi si sente piccolo e finito di essere ascoltato. Questo è anche l’amore nella sua sincerità: si pensi alla tragedia di Re Lear che, prima di abdicare, vuole una dichiarazione formale di amore dalle sue tre figlie. Le due che non lo amavano non hanno problemi a farlo, mentre Cordelia, l’unica sincera con il padre, non se la sente di essere ipocrita e per questo, pur amandolo, è costretta all’esilio.
La distinzione tra laico e religioso è sempre più insensata per chi affronta il dramma del pensare la finitezza e la totale alterità di Dio che è anche vicinanza infinita, specie nel dolore. Nell’agone/agape del credente ogni giorno è una nuova sfida, una nuova sorpresa; il dolore per alcuni è rivelazione di Dio, per altri è rivelazione della propria lontananza da Dio e da se stessi. Un pensatore intrinsecamente laico, il Kant del sapere aude e delle tre Critiche, è anche il pensatore che ha inscenato il dramma narrato nella Religione entro i limiti della sola ragione, una delle sue opere ultime, scritta nel 1792-3, per rispondere alle istanze che gli ponevano alcuni pensatori coevi entusiasti del pensiero trascendentale, ed in particolare il giovane Fichte. Lo spirito cattivo, il principio malvagio, viene descritto da Kant come in lotta contro il principio buono sul campo di battaglia del cuore umano sin dalla fondazione del mondo. Kant ha in questo l’estrema drammatica serietà di chi vuole pensare il male e la speranza senza finire nei lacci dell’ideologia che conduce alla cecità.
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