L’annunciato ddl sull’ineleggibilità degli uomini politici accusati di corruzione, solleva alcuni interrogativi – formali e sostanziali – che meritano un approfondimento. Innanzitutto appare come l’ammissione definitiva della debolezza morale antropologica della nostra società. Solo, infatti, in una comunità eticamente fatua vi è bisogno di normare comportamenti che dovrebbero essere ovvi e imposti dal “comune senso del pudore” (e scusate se il termine vi sembra desueto o retrogrado).

Non esiste paese occidentale in cui vige una legge del genere per il semplice fatto che non vi è paese occidentale in cui ad un partito politico venga in mente di sottoporre al vaglio degli elettori una persona accusata di corruzione. A nessun partito politico occidentale verrebbe in mente di candidare un soggetto accusato di corruzione perché sa che il risultato politico stesso sarebbe catastrofico. Il risultato sarebbe catastrofico perché in tali società il senso morale (almeno per alcuni comportamenti) è ancora molto alto ed il disvalore sociale della corruzione è fortemente avvertito nella popolazione.rn

In Italia non è più così. E non è più così per due motivi: ì) perché sussiste un piccola illegalità diffusa che fa sentire molti partecipi di un “comune destino”; ìì) per scelta di una larga parte della nostra classe dirigente, la quale, godendo di uno smisurato potere mediatico e politico, che certamente influenza e determina costumi e morale di una determinata epoca, ha annacquato il disvalore etico di determinati comportamenti e ciò perché quei comportamenti erano i loro comportamenti. Non potendo ostentare condotte virtuose o perfino nascondere abitudini riprovevoli ne hanno fatto vanto svilendone il gravissimo disvalore sociale. Per usare le parole di San Paolo nella lettera ai Filippesi ascoltate nella liturgia di domenica scorsa: “Vi sono persone che hanno come dio il loro ventre e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra”.

Una legge sull’ineleggibilità degli uomini politici accusati di corruzione porrebbe, peraltro, gravi problemi di carattere tecnico giuridico in quanto altererebbe il principio costituzionale (art.27 cost.) di non colpevolezza sino a condanna definitiva. Sarebbe l’unica pena accessoria comminata in assenza di una sentenza definitiva di condanna. Temo che non supererebbe il vaglio della corte costituzionale.

Quale sarebbe il “grado di colpevolezza” che determinerebbe l’ineleggibilità? Il rinvio a giudizio, una sentenza di condanna in primo grado, la conferma in secondo grado, un patteggiamento della pena? Varrebbe nei casi di sentenze contraddittorie? Assoluzione in primo grado, condanna in secondo o viceversa? E per quali reati varrebbe? Solo per la corruzione? E perché dovrebbero essere esclusi altri reati quali le varie tipologie di truffa (nei confronti ad esempio della pubblica amministrazione), il peculato, la bancarotta, ecc.?

E’ curioso che tale delega – di fatto politica – alla magistratura giunga da chi la delegittima e la rimprovera quotidianamente di intromissione nella vita politica del Paese. A parte la contraddittorietà nei comportamenti penso che il sistema giustizia abbia bisogno di tutto meno che di nuove “funzioni” e responsabilità totalmente improprie rispetto al ruolo assegnato dalla costituzione alla giurisdizione.E’ paradossale che tale proposta di legge venga da chi nelle ultime elezioni ha candidato al Senato un uomo, come il senatore Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso o l’avv. Previti nell’elezioni alla Camera dei Deputati del 2006 dopo che lo stesso aveva subito più sentenze di condanna in primo e secondo grado per fatti di corruzione (semplice e giudiziaria) nei processi SME, IMI SIR e Lodo Mondadori.  

rn

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