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Un altro 8 marzo, ma nel segno della sconfitta. Per le donne e per gli uomini, per quanti sperano in una nuova “civiltà dell’amore” a partire dalla più stretta delle relazioni, quella tra l’uomo e la donna. rnrnrn

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Così si avvia a diventare la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, celebrata lo scorso 25 novembre. Centinaia le iniziative che in tutto il mondo hanno segnato questa ricorrenza, la cui diffusione planetaria sta a dire come ci troviamo di fronte ad una fenomenologia trasversale, che apparenta culture e contesti molto lontani tra di loro, nello spazio e nelle tipologie di rapporti tra i due generi. rn

Provare a comprendere questo fenomeno per combatterlo in radice è un compito che va ben oltre la Giornata appena trascorsa. E’ una responsabilità che devono assumersi le donne e gli uomini di questa generazione che si è lasciata alle spalle il “secolo delle donne”, come è stato definito il ‘900, senza poter salutare la definitiva scomparsa della violenza che sulle donne stesse si abbatte, con più virulenza –si direbbe- che nel passato. E il nostro Paese non fa eccezione, a giudicare dalle cifre fornite dall’ Istat, veramente impressionanti. Sono quasi 7 milioni le donne, tra i 16 e i 70 anni, che hanno subito almeno una volta nella vita una violenza, per il 23/% di tipo sessuale, fisica per il 18,8/%, senza contare le violenze più sottili ma altrettanto devastanti di tipo psicologico.

Si tratta di dati da leggere per difetto perché gran parte di questi comportamenti non vengono denunciati. Per paura, per vergogna, perfino per un oscuro senso di colpa di fronte ad un fenomeno che avviene prevalentemente nell’ambito di relazioni personali, affettive. Il partner si trasforma nell’aguzzino e la donna ammutolisce nell’impossibilità di “tenere insieme” l’intimità del legame e l’impersonalità di un gesto violento che colpisce ciecamente, in un teatro dei rapporti ancestrale e lontano anni luce dalla cultura che dovrebbe essere acquisita e che assegna alla donna la dignità di persona. Il processo di emancipazione della soggettività femminile, la crescente consapevolezza di sé, del proprio valore che ha spinto e spinge le donne a prendere in mano la propria esistenza, a giocarla nello spazio pubblico, del lavoro, delle istituzioni, delle professioni, dell’economia, sembrano aver prodotto l’effetto perverso di incrementare il fenomeno della violenza, che credevamo di dover lasciare alle nostre spalle.

Certamente, è mancato l’accompagnamento della soggettività maschile in un analogo processo di liberazione dalle antiche forme di dominio dell’uomo sulla donna che nell’ormai lontano 1988, nella “Mulieris dignitatem”,Giovanni Paolo II riferiva direttamente alle strutture di peccato che avvelenano la condizione umana. Resta da compiere questo essenziale passaggio che chiamerei di liberazione delle relazioni tra uomini e donne nel segno della dignità dei due, di una sessualità autenticamente umana, di un reciproco riconoscimento che fa dell’alterità e della sua accoglienza, spesso difficile e conflittuale, il cuore di una rinnovata alleanza tra i generi.

Abbiamo il dovere, anzitutto educativo, di preparare tempi nuovi per le future generazioni. La violenza sulle donne è una ferita insopportabile e inaccettabile per la nostra epoca, già troppo segnata da molte antiche e nuove violenze. E’ una battaglia di civiltà e di umanizzazione dei rapporti quotidiani nella quale ciascun uomo e ciascuna donna devono fare la loro parte e le stesse istituzioni, a partire dalla famiglia e dalla scuola, devono impegnarsi a fondo, oltre la scadenza della Giornata che ci ricorda la sofferenza di troppe donne, in ogni angolo del mondo, spesso nel silenzio e nella solitudine dell’abbandono.

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