“Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”. “Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali” (Don Milani, La parola fa eguali, Editrice Fiorentina 2012).
Ho scelto di iniziare il mio editoriale con due frasi di Don Lorenzo Miani perché capaci di cogliere alcuni nodi che riguardano il sistema educativo italiano. L’idea di scuola di Don Milani e il suo modo concreto di portare avanti l’esperienza di Barbiana ci mostrano ancora oggi tutto il valore che la scuola e la formazione possono avere nello sviluppo umano e professionale dei giovani. Sappiamo che purtroppo ancora troppi giovani oggi in Italia sono “senza ali” e cioè privi di quegli strumenti che gli possano consentire di costruire un loro progetto di vita e professionale. Per questa ragione è necessario rafforzare la formazione professionale e la scuola come due esperienze complementari capaci di rendere il sistema educativo italiano davvero inclusivo ed equo.
Senza l’istruzione, senza la formazione i giovani sono abbandonati al loro destino come uccelli senza ali. Siamo consapevoli delle numerose criticità di cui bisognerebbe occuparsi per ridare slancio al sistema produttivo e creare lavori duraturi e adeguatamente remunerati. Tuttavia, il nostro mercato del lavoro soffre anche di problemi più profondi e che affondano le radici nel sistema educativo. Si pensi ad esempio al mismatch tra le professionalità richieste dai datori di lavoro e quelle in uscita dai percorsi scolastici, che impedisce a una quota considerevole di aziende di trovare i giusti profili da inserire nei propri organici; alla sostanziale incompiutezza delle politiche attive del lavoro che dovrebbero sostenere le persone nella ricerca di lavoro; alla convinzione, assai radicata nella nostra società, che i “mestieri” (professioni tecniche, esecutive e manuali) siano in qualche misura lavori di minor prestigio sociale, quasi di «serie B», sebbene possano essere, a certe condizioni, gratificanti e ben pagati; all’inadeguata offerta formativa presente nel territorio.
In questo breve scritto mi concentrerò sul ruolo dell’istruzione e formazione professionale per mettere a fuoco alcune questioni, anche sulla base di dati. Come sappiamo, l’Italia rispetto alla media europea lamenta un forte ritardo sul fronte della formazione professionale, ma dove e quando c’è ed è di qualità le cose cambiano in modo evidente.
Il sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP) contribuisce a diminuire la dispersione scolastica e favorisce l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Purtroppo, in numerose regioni l’offerta di formazione professionale è ancora inadeguata, pur essendo prevista fin dal 2003, dai tempi del ministro Moratti. Questa asimmetria territoriale dovrebbe far riflettere, soprattutto con riferimento al fatto che l’ istruzione e formazione professionale rappresenta un Lep, cioè un Livello essenziale di prestazione, e che dovrebbe essere perciò garantita a tutti i cittadini italiani senza distinzioni sul territorio, analogamente a quanto avviene per i servizi sanitari.
In particolare, tra il mese di ottobre e novembre dello scorso anno, sono state presentate due importanti ricerche che mostrano con chiarezza quanto sia importante il ruolo dell’IeFP, unitamente ai percorsi di IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) e agli ITS (Istituti Tecnici Superiori).
Con questo focus vogliamo dare conto di queste ricerche coivolgendo chi le ha realizzate per illustrare i risulti più importanti e riflettere sul mismatch nel mercato del lavoro. Infatti, le indagini Excelsior – realizzate da Unioncamere da molti anni – che sono il più ampio sistema informativo sulla domanda di profili professionali delle imprese italiane, confermano una perdurante difficoltà del mercato del lavoro italiano a realizzare un efficace incrocio tra domanda e offerta di lavoro, e cioè a coprire i posti che si rendono disponibili nelle imprese.
In sostanza si assiste ad una situazione in cui le aziende offrono lavoro per determinate figure professionali ma non trovano candidati o quando si presentano non hanno le competenze adeguate. Infatti, se guardiamo il coefficiente di correlazione tra i tassi di disoccupazione provinciali ISTAT 2017 e l’indicatore Excelsior, legato alla difficoltà di reperimento, notiamo come questo si attesti su un valore molto significativo. Altro dato da mettere in evidenza è come 13 su 20 delle prime professioni più difficili da reperire sono comprese tra le professioni della Iefp; queste rappresentano circa 1/3 del mismatching complessivo (375mila figure di difficile reperimento su un totale di 1,2mln).
Alla luce di queste considerazioni abbiamo chiesto ad esperti di formazione professionale e ricercatori di rispondere ad alcune questioni di fondo: Come ridurre il mismatch del mercato del lavoro, che impedisce a una quota considerevole di aziende di trovare i giusti profili da inserire nei propri organici? Come costruire sistemi territoriali capaci di mettere in rete enti di formazione, imprese e centri per l’impiego per rispondere in modo migliore alle esigenze occupazionali delle imprese? Come valorizzare e far conoscere l’offerta formativa dell’Iefp, dell’IFTS e dell’ITS in modo da aumentare la platea degli iscritti? E che ruolo possono avere le imprese? Quali scelte possono consentire di infrastrutturare il sistema formativo in tutto il Paese? Il Reddito di cittadinanza in che modo può trasformarsi in uno strumento utile per dare stabilità ai percorsi formativi e di inserimento lavorativo?
Iniziamo con Cristiano Caltabiano (Ricercatore Iref) che sintetizzando i risultati della sua ricerca Enaip-Iref sui lavori popolari osserva come “la formazione, se ben congegnata, potrebbe essere la leva giusta per far compiere un salto di qualità nei percorsi professionali di molte persone che svolgono professioni della IeFP, costrette ad un continuo viavai fra impieghi di breve durata, che spesso sono poco remunerativi, oltre ad essere scarsamente gratificanti e faticosi”.
Il contributo di Anna D’Arcangelo (Dirigente di Ricerca, è Responsabile della Struttura “Sistemi e Servizi formativi” di INAPP) Andrea Carlini (ricercatore tecnologo dell’INAPP) ed Emanuele Crispolti (ricercatore dell’Inapp, esperto di politiche formative e di analisi dei sistemi formativi) sottolinea come “i risultati della rilevazione, nel complesso molto brillanti, risultano particolarmente soddisfacenti per i diplomati, tra i quali il tasso di occupazione supera il 69%, oltrepassando di quasi 7 punti quello dei qualificati. Le performance migliori sono nuovamente riferite ai qualificati presso i Centri accreditati, con un distacco di 10 punti sul dato degli Istituti Scolastici. Si tratta di un fenomeno solo in parte attribuibile alla frequente prosecuzione, in sussidiarietà integrativa, nei percorsi quinquennali. Anche tra i diplomati, infatti, in sussidiarietà complementare, dove i percorsi sono terminali come quelli dei Centri, si registra un gap di 5,3 punti a vantaggio dei giovani che provengono dalle Istituzioni formative accreditate”
Per Giulio Maria Salerno (Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Macerata) “dare omogeneità all’offerta formativa dei percorsi della Formazione Professionale è dunque una questione prioritaria per il nostro Paese”. In questo senso propone di “procedere alla costituzione, sulla base di un apposito accordo tra lo Stato e le Regioni, di una sorta di Cabina di regia ovvero, più organicamente, alla creazione in via legislativa di un’apposita ‘Agenzia nazionale’ della formazione professionale, che faccia tesoro dell’esperienza fornita, in materia di politiche del lavoro, dall’istituzione piuttosto recente dell’ANPAL, valorizzandone gli aspetti positivi che ne sono emersi ed evitando di incorrere nei profili di criticità che ancora appaiono irrisolti”.
Secondo Maurizio Sorcioni (Responsabile Direzione Studi e Ricerche di ANPAL Servizi) “il tema della formazione professionale, soprattutto quella riservata ai lavoratori disoccupati, merita di essere posto al centro della riflessione istituzionale così come è avvenuto per quello dei servizi per il lavoro, rafforzando gli investimenti ed aumentando il tasso di interconnessione tra agenzie formative e sistema produttivo al fine di rendere sempre più efficace il sistema delle politiche attive nel suo complesso”.
Claudia Montedoro (Membro del CempEu – Competenze in Europa, già Responsabile scientifica del Dipartimento Sistemi Formativi dell’Isfol/Inapp) sottolinea come “utilizzando dispositivi normativi esistenti sia possibile favorire il trasferimento di know how tra generazioni. Si intendono sperimentare percorsi, modelli e strumenti formativi adhocratici esistenti che, valorizzando il potenziale dei lavoratori anziani quali facilitatori dell’apprendimento dei giovani, facilitino l’inserimento di nuove risorse umane nei contesti produttivi”.
Irene Gatti (Esperta del settore educativo, collabora con ENAIP) osserva come sia necessario “incentivare la permanenza al lavoro, agire sul fenomeno migratorio dei giovani, aumentare la partecipazione al lavoro della popolazione non attiva, a cominciare dalle donne, sono strade possibili per compensare l’esodo, ma non basta. Bisogna supportare l’age management aziendale e agevolare i processi di trasferimento intergenerazionale delle competenze. Queste azioni richiedono scelte politiche complesse, che dovranno riconfigurare lo spazio del welfare nazionale. Un ruolo strategico sarà giocato dalla formazione professionale: si dovranno approntare processi di skylling o reskilling per giovani riducendo così l’impatto del fenomemo migratorio che li riguarda”.
Per Paolo Zuffinetti (Fondazione Enaip Lombardia) “il modello della formazione professionale, con la sua intuizione fondativa di connettere e comprendere in uno stesso luogo scuola ed impresa non può che essere anticipatore delle necessità di ripensamento del sistema formativo nel suo complesso. Si tratta, forse, di investire nell’intenzionalità connaturata alla formazione professionale cogliendo e valorizzando il portato metodologico, gli approcci culturali che, pur non essendo stati particolarmente tematizzati o resi consapevolmente evidenti al sistema Paese, possono rappresentare un cospicuo, sperimentato e sedimentato patrimonio”.
Nei prossimi giorni pubblicheremo il contributo di Claudio Gagliardi (Vice Segretario generale di Unioncamere – Area politiche Attive del Lavoro)
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