Di recente si è costituito in Italia il Forum dei Movimenti per l’ Acqua, una “rete di reti” che al suo interno raccoglie comitati territoriali, associazioni culturali, parrocchie, organizzazioni sindacali e politiche. E’ un movimento silenzioso, perché le sue azioni quotidiane non fanno notizia, ma sufficientemente agguerrito da porre un veto al processo di privatizzazione del servizio idrico in atto nel nostro Paese: in soli due anni è riuscito a presentare una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela e la gestione pubblica dell’acqua.rn
Il processo di privatizzazione dell’acqua, altrimenti definito di “petrolizzazione” (con tutto il portato simbolico di questa espressione), ha interessato i Paesi occidentali e, con maggiori ricadute, i Paesi in via di sviluppo a partire dagli anni 80. Il principio che sottende la privatizzazione è quello che l’acqua, alla stregua di una merce, soddisfa un bisogno e come tale può essere commercializzata, tralasciando implicazioni di carattere ecologico (l’importanza dell’acqua per l’ecosistema e la biodiversità) e sociale (l’acqua non è più un bene comune, ma appartiene a chi la gestisce con i propri investimenti). Secondo la logica liberista, quindi, una gestione da parte di privati garantirebbe una maggiore razionalità, una riduzione degli sprechi e l’abbattimento dei prezzi per effetto della concorrenza. Nel tempo in Europa i privati sono entrati a pieno titolo come concessionari del servizio idrico, investendo e traendo profitto da questa attività; le imprese pubbliche di gestione dell’acqua, poi, diventando delle società per azioni, hanno accolto al loro interno soci privati che oggi controllano buona parte delle azioni. Acquisizioni, fusioni e alleanze tra colossi dell’acqua: oggi, nel mondo, sono in pochi a controllare questo nuovo mercato e sono tutte multinazionali con introiti da capogiro.
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Ma come si fa a determinare il valore di un bene come l’acqua? E soprattutto, esiste una garanzia che questa gestione riesca a far giungere l’acqua a tutte le persone, anche alle più povere, quelle che sono tagliate fuori dalla logica del mercato perché insolventi? In questa sede l’intento non è certo quello di discutere dei risultati della privatizzazione o delle politiche tariffarie attuate. Piuttosto quello di riflettere sulle incongruenze dei nostri tempi.
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Inutile rimarcare come oggi l’accesso all’acqua per molti individui sia tutt’altro che garantito: è in atto una vera e propria “crisi idrica” che, purtroppo, ci interessa sempre più da vicino. In diverse regioni del bacino del Mediterraneo, infatti, l’acqua è scarsa e mal ripartita: il degrado ambientale, il consumo di massa e il progressivo aumento della popolazione mondiale ci stanno mettendo davanti al rischio futuro di conflitti per il controllo della risorsa acqua. Nel Novembre 2002, il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali dichiarò che l’accesso alle forniture di acqua pulita per uso personale e domestico costituiva un diritto umano fondamentale, marcando la distanza rispetto ad una concezione dell’acqua come bisogno. Nella dichiarazione Universale dei Diritti Umani, invece, non si fa riferimento esplicito al diritto all’acqua: oggi c’è chi sostiene che questa esplicitazione, ritenuta inutile per l’ovvia importanza che tale bene riveste per la vita degli individui, andava comunque fatta, per richiamare l’attenzione al dovere morale di ogni Stato di garantire tale diritto. E, del resto, come credere il contrario, quando nel mondo tutto sembra procedere verso la negazione di tale principio… Da bene dell’umanità, della collettività, l’acqua sta diventando un bene gestito da pochi. Ed è per questo che azioni come quelle promosse dalle organizzazioni del Forum per l’acqua assumono oggi un significato rilevante: la società civile può, attraverso la mobilitazione e un forte vincolo di solidarietà, appropriarsi di alcune risorse (negate) e mettere in questione gli interessi economici dei potenti.
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Citando Petrella, economista politico che da anni si interessa al tema dell’acqua, la tendenza attuale a considerare l’acqua, insieme all’aria, alla terra e all’energia solare, dei beni comuni ha in sé una molteplice matrice culturale: religiosa, ecologica, sociale, ecc. Al di là delle radici culturali, che coesistono pacificamente, il movimento per l’acqua oggi si caratterizza per essere forte, libero da condizionamenti ideologico-politici e unito dalla volontà di creare i presupposti per una gestione democratica e partecipata del servizio idrico. Questo orientamento si è già rivelato vincente: di recente la Camera dei Deputati ha approvato un emendamento che blocca tutti i processi di privatizzazione della risorsa idrica fino alla riforma dell’intero settore. Un primo successo senz’altro, ma per il popolo dell’acqua la battaglia non si preannuncia facile.