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Penso che nessuno possa dubitare del fatto che il progresso passato e futuro della società sia determinato e riconducibile alla presenza di persone eccellenti nel proprio campo: scientifico, culturale, economico, politico, sociale, sportivo, ecc. Meno diffusa è, invece, la consapevolezza che il progresso si consolida e si diffonde anche tramite l’opera di centinaia, migliaia, milioni di persone che non possono essere considerati eccellenti ma che ogni giorno svolgono in modo adeguato e con impegno le proprie funzioni, quello che si dice il proprio dovere.

Persone eccellenti sono coloro che hanno qualità “superiori” alla maggior parte delle altre persone (le cosiddette “doti naturali” in senso antropologico, i “talenti del Vangelo”, quel qualcosa in più che fa la differenza tra un buon ricercatore e un ricercatore “eccellente”, tra uno scrittore e uno scrittore “di successo”, tra un imprenditore capace di fondare e mantenere in vita un’impresa e un imprenditore che costruisce un “impero economico”, tra un ottimo sportivo e un “fuoriclasse” tra un cantante o un artista e un “mito” per milioni di fans.rn

Peraltro il concetto di “eccellenza” si collega ed è evidenziata dai risultati ottenuti poiché solo questi possono, in un certo senso, “certificare” che le doti, i talenti, quel “qualcosa in più” si sia effettivamente manifestato.

Il tema dell’eccellenza suggerisce, peraltro, alcune specificazioni. Innanzitutto la differenza tra “eccellenza” nel campo scientifico rispetto al campo sociale. In campo scientifico è più facile identificare l’eccellenza poiché i risultati sono oggettivamente verificabili come progresso delle conoscenze rispetto a quelle precedenti, esempio la formulazione teorica o la verifica empirica di una nuova legge della fisica, della chimica, la scoperta di un nuovo corpo celeste o di qualche altro fenomeno astronomico. Nel campo sociale, l’eccellenza è più difficile da definire e da identificare. Con riferimento all’economia, vi sono imprenditori o manager che appaiono e sono considerati “eccellenti” per i risultati ottenuti dalle loro imprese ma ciò solo nel breve periodo poiché dopo alcuni anni gli “eccezionali” risultati economici ottenuti rispetto agli altri operatori si trasformano in perdite o fallimenti. Oppure imprenditori o manager che appaiono e sono considerati “eccellenti” sulla base dei risultati ottenuti fino a quando “si scopre” che questi ultimi sono dovuti non alle loro qualità, al loro talento ma alle relazioni intrattenute o, addirittura, ad attività illecite o al limite del lecito. Vi sono sportivi “eccellenti” i cui risultati sono stati ottenuti grazie all’aiuto di sostanze proibite (doping) e comunque coadiuvanti, anche se non proibite, di cui non hanno potuto usufruire gli altri.

In tutti i campi, poi, non sono rari i casi di persone che appaiono e sono considerate “eccellenti” solo perché sono abili e molto spregiudicati nell’appropriarsi dei risultati degli altri o del lavoro di équipe, sfruttando la buona fede (di chi passa informazioni e poi scopre che qualcuno ha brevettato una sua invenzione o scoperta) o l’ingenuità, qualcuno che realizza un bene o un servizio o mette a punto un sistema innovativo di produzione senza saperne poi valutare il potenziale economico che qualcun altro sfrutta. A volte, può apparire per lungo tempo “eccellente” chi ha sfruttato i risultati di altri con inganno e frode. L’enfasi sulla ricerca e l’incentivazione dell’eccellenza è in sé positiva, ma non va dimenticato che può indurre a perseguire il successo con comportamenti professionali ed etici discutibili, quando addirittura non perversi.

Una seconda considerazione riguarda le politiche di ricerca e attrazione di persone “eccellenti”, tramite sistemi di incentivazione di vario tipo, oggi spesso prevalentemente economici. E’ corretto riconoscere e premiare l’eccellenza ma occorre porsi almeno due domande:

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  1. Quale è il livello di incentivazione, di differenziazione rispetto ad altre persone non solo e non tanto “eticamente accettabile” (aspetto difficilmente traducibile nel concreto) ma istituzionalmente sostenibile: un’impresa che attua politiche di grande differenziazione rischia di trattenere le persone eccellenti ma di perdere gradualmente (o anche rapidamente, a volte) persone di ottima, buona qualità che svolgono le loro normali funzioni e trovarsi ad essere svuotate, università che “corteggiano” ricercatori e docenti “eccellenti” (che, per essere tali, devono necessariamente essere pochi), rischiano di demotivare tanti altri docenti che sono indotti, salvo propri valori etici, a limitare i servizi agli studenti ai soli obblighi del loro rapporto, riducendo la qualità complessiva della ricerca e della didattica.
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  3. Persone “eccellenti” sono sicuramente in grado di dare prestigio alle istituzioni cui appartengono ma sono in grado di migliorarle? A questa seconda domanda, chi scrive da la seguente risposta: sono destinate al fallimento tutte le politiche che pongono eccessiva enfasi sull’eccellenza di individui senza preoccuparsi del miglioramento del contesto, delle istituzioni in cui essi entreranno ad operare.
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Per essere più precisi, occorre cercare persone che sono “eccellenti” anche nella loro propensione, disponibilità, volontà, interessi a “trasferire” le proprie conoscenze, a motivare altre persone, ad occuparsi (e preoccuparsi) del rafforzamento delle istituzioni in cui operano.

Persone “eccellenti” nel proprio campo, che vivono nelle loro torri eburnee (laboratori, sistemi informativo-informatici, uffici dove formulano i loro modelli e le loro teorie) pensando che tutto debba ruotare attorno alla loro “eccellenza”, diventano moderni mercenari disposti a cambiare ogni volta che sono loro offerti incentivi migliori e spesso diventano “un problema da gestire” per le istituzioni che li hanno assunti, non una soluzione o un valore aggiunto per esse. Per contro, l’inserimento in istituzioni che non hanno livelli adeguati di funzionalità di persone “eccellenti” pur disponibili a trasferire le proprie conoscenze e le proprie qualità, produce molto spesso “effetti di rigetto”: le persone eccellenti se ne vanno dopo un breve periodo.

Le politiche più efficaci sono quelle che perseguono l’inserimento di persone “eccellenti” in contesti e in istituzioni che hanno già un adeguato livello di funzionalità per innescare processi di rapido e veloce miglioramento, oppure quelle che si preoccupano di migliorare la funzionalità delle istituzioni per evitare “l’effetto rigetto”.

Quindi occorre adottare politiche che perseguono contemporaneamente e in modo equilibrato la ricerca e l’attrazione di persone eccellenti e un buon/elevato livello di funzionalità delle istituzioni in cui esse sono inserite (imprese, amministrazioni pubbliche, università, centri di ricerca ecc.). Infine, si sottolinea che le politiche di incentivazione delle eccellenze non devono essere finalizzate a selezionare ma, al contrario, devono essere costruite con obiettivi, criteri e sistemi finalizzati a riconoscere e valorizzare le eccellenze e contemporaneamente a produrre da un lato la propensione a diffondere l’eccellenza e la qualità (da parte di chi la detiene) e dall’altro, ad attivare stimoli di “emulazione” verso l’eccellenza e la qualità (da parte di chi non ha ancora raggiunto livelli soddisfacenti).

Culture, logiche e politiche che tendono a separare, a distinguere le “eccellenze” e la “qualità” (individuale o di istituzioni) dalle realtà che non la raggiungono, non solo sono contrarie ai principi etici della ricerca del bene comune ed agli “obiettivi di rafforzamento” dei sistemi scientifici, economici, sociali, ma nel medio – lungo periodo possono rivelarsi economicamente, socialmente e politicamente non sostenibili e possono determinare condizioni di contrapposizione e di conflitto. Solo le culture, le logiche e le politiche dell’eccellenza e della qualità capaci di connettere, di diffondersi, sono la fonte di vero, reale, dinamico (in senso positivo) e sostenibile progresso.

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