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Mettendo due notizie a confronto possiamo renderci conto del baratro che ormai divide l’esperienza quotidiana delle persone dalla rappresentazione dominante (politica e culturale) della realtà che ci viene imposta 24 ore su 24.
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Il sindaco Moratti di Milano intende emanare un’ordinanza per multare chi si fumi uno spinello per le vie cittadine, e Dario Fo si dice pronto a “farsi una canna” in piazza per contestare questa iniziativa municipale. Contemporaneamente viene presentata al World Social Summit (WSS) di Roma un’indagine su “Le paure nelle metropoli”, in cui scopriamo che la nostra capitale è la città del mondo con il più alto tasso di inquietudine esistenziale. La cosa che sorprende di più però è che al primo posto dei terrori dei romani non c’è alcuna paura materiale, di perdere il posto di lavoro o altro, ma la paura tutta interiore, e direi spirituale, di perdere il controllo pieno delle proprie facoltà mentali.
 
Che cosa ci rivelano queste due notizie messe a confronto?
Io proverei a dire così: non sussiste più un canale di trasmissione e di traduzione tra le esperienze interiori di ciascuno di noi e la scena che la cultura e la politica dominanti allestiscono tutti i giorni con la potenza ormai totalitaria della comunicazione di massa. Questo canale linguistico, che traduce in linguaggio condiviso i movimenti vulcanici dell’anima, è la cultura creativa, quella che sa criticare il presente e insieme proporre il nuovo. Oggi manca, sempre a livello di visibilità dominante, qualsiasi elemento vitale di cultura. Questo è il nostro vero e terribile e pericolosissimo degrado. Altro che spinelli in piazza del Duomo.
 
Se infatti ogni persona sta oggi vivendo una spaventosa crisi di identità e di senso, che riproduce nella nostra carne biografica una trasformazione di portata antropologica, i giornali, lo spettacolo, l’arte, l’editoria, l’università, la politica, la letteratura, e specialmente la comunicazione di massa dominanti, tranne rarissime eccezioni, proiettano su di noi soltanto la crosta più superficiale della realtà. Così restiamo soli con la nostra angoscia priva di parole.
 
Insomma la maggioranza delle persone ha paura semplicemente di impazzire e di perdere il controllo di una mente sempre più frammentata e sfatta, mentre la Moratti si preoccupa della decenza urbana. Cosa buona e giusta, certamente, come vuotare con cura i portacenere ogni sera e tenere in ordine gli arredi, ma che risulta un po’ comica e drammaticamente inadeguata se ci troviamo nel salone delle feste del Titanic ad un minuto dall’urto finale.
 
Il grande pericolo che stiamo correndo non sta cioè nella profondissima crisi che stiamo attraversando, e che è essenzialmente una crisi di crescita, ma nella mancanza di una cultura della trasformazione, che ci aiuti a comprenderne il senso evolutivo e a vivere la transizione con spirito creativo, senza subirla passiva-mente.
 
Non basta perciò neppure l’appello generico alla cultura. In quanto le culture dominanti che vediamo trascorrere sulla scena planetaria sono spesso estetismi senz’anima, sfilate di moda, festival letterari o filosofici di ogni genere, in cui la cultura si riduce a industria dell’intrattenimento (dell’ego terminale), politiche senza visione alcuna, reality show e dibattiti alla Ballarò, Marchette quasi sempre e comunque: un teatro planetario fuori tempo, passato di moda, che continua però ad imperare e a soffocarci. Anche questi fenomeni sono segni di un gravissimo degrado, non meno delle prostitute sulla Salaria o degli spettacoli abominevoli, come il nuovo Ballo delle Debuttanti, in cui squadre di ragazze divorate dalla brama di successo e dall’angoscia si scontrano come in un nuovo Colosseo dinanzi a giudici del calibro morale di Emanuele Filiberto di Savoia….
 
C’è un’unica via di uscita: elaborare un’autentica cultura della trans-formazione, che sappia denunciare con nuova semplicità e rudezza ciò che ormai è morto, e al contempo annunciare con la forza della testimonianza personale ciò che sta nascendo. Il degrado di un’intera civiltà lo si supera soltanto alimentando le sementi di una nuova civiltà. E a questo progetto potrebbero partecipare davvero tutti, e anche i sindaci potrebbero diventare più creativi, ed impegnarsi in prima persona nella ricerca e nella promozione di ciò che può per davvero rispondere all’inascoltata e ormai divorante domanda di senso.
 

rnSolo questa è la terapia per curare anche le nostre menti che vacillano sul limite di un collasso psichico collettivo. E se non vogliamo più ascoltare i veri pensatori, i pochi poeti, e i pochissimi uomini spirituali, che lungo tutto il XX secolo ci hanno ribadito l’urgenza di un ricominciamento, facciamocelo ripetere da uno psichiatra come Ronald Laing: “La vera sanità mentale richiede che in un modo o in un altro l’Io normale scompaia, quel falso Io che è riuscito ad adattarsi alla nostra realtà sociale alienata; richiede che emergano i mediatori archetipici del potere divino, e che atrraverso questa morte avvenga una rinascita che porti a un nuovo tipo di funzionamento dell’Io in cui esso sia il servitore del Divino, non più il suo traditore”.

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