Per garantire il pluralismo dell’informazione è stata addirittura istituita un’autority, ma i dati presentati di recente da Calabrò, presidente dell’Autorità di garanzia delle comunicazioni, confermano un’ elevata concentrazione nelle mani di pochi operatori, nonostante l’entrata del terzo polo SKY.
E anche sulla qualità dell’informazione giornalistica oggi avremmo qualche riserva. Dalla lettura dei quotidiani o dall’ascolto dei telegiornali sempre meno si avverte la sensazione di uscirne arricchiti, di avere un quadro completo e soprattutto chiaro dei fatti. Dati economici che poi vengono smentiti, notizie sulle riforme istituzionali e/o sulla giustizia che accentuano i dubbi piuttosto che fugarli.
Dove è finita quell’etica del discorso di cui Apel ci ha parlato nei suoi scritti? Che fine ha fatto la funzione emancipativa della comunicazione che secondo il filosofo dovrebbe formare una coscienza critica globale?
Gli studi sulla comunicazione di massa individuano due aspetti cruciali: la scelta delle notizie e il modo in cui vengono confezionate.
Sul primo fronte, ad esempio, in uno dei principali quotidiani italiani online si leggeva dell’inaugurazione a Roma del più grande centro commerciale d’Italia o addirittura, pare, tra i più grandi d’Europa. L’ennesimo tributo per celebrare il “non luogo” del consumismo. Una folla di persone, gente comune accalcata per presenziare al grande evento, sancito dalla presenza di un ospite d’eccezione. Niente di strano, apparentemente, a parte il fatto che la logica della spettacolarizzazione sta fagocitando il newsmaking.
Un appello: lasciamo alla pubblicità, nelle sue innumerevoli forme (affissione, annunci radiofonici, banner), il compito di fare da anima al commercio. Ai giornali chiediamo una visione di più ampio respiro, nell’interesse della pluralità, e più obiettiva circa i contenuti informativi sul mondo. Ma qui si apre un altro discorso.
Sul secondo punto, l’assunto dell’a-valutatività della comunicazione di massa è ormai superato. Il Tg o il giornale nel loro insieme formano un testo. E ogni testo, come ogni notizia, sono entità molto più complesse di quelle che sembrano, perché sono immerse in un discorso articolato, in una narrazione con la quale il lettore entra in relazione giorno dopo giorno, traendo le “sue” conclusioni.
L’agenda dei telegiornali, l’uso delle immagini (selezionate ad hoc), i collegamenti tematici e i loro meta-significati (ad esempio, se sfogliando le pagine troviamo la notizia di una tentata rapina da parte di un rom e quella di una recente statistica sull’aumento della violenza nelle città, non sarà difficile trarre conclusioni che, in realtà, non appaiono scritte da nessuna parte!), non sempre ci portano ad un consenso libero e consapevole.
La distorsione della realtà è una delle conseguenze dell’uso strumentale dei media e della crisi dell’ etica nella comunicazione. L’informazione, a volte, alimenta il pregiudizio: ci allontana sempre più da quella condizione di “epoché”, di sospensione del giudizio, necessaria affinché ci si possa esprimere sui fatti con cognizione di causa, senza diventare vittime del senso comune.
La responsabilità dei media oggi è più che mai cruciale: nel clima di insofferenza, di sfiducia che si respira, agire sulle insicurezze della gente può essere deleterio.
L’informazione corretta è incompatibile con qualsiasi comunicazione finalizzata a prese di posizioni precostituite e/o al servizio di interessi particolari. Rubando una citazione ad Eco: se l’informazione obiettiva vera e propria è divenuta oramai un’utopia, forse non è tardi per sperare in una obiettività più bassa, basata sul principio di onestà professionale, svincolato da logiche di potere.
Ed è a questo obiettivo che benecomune.net mira quotidianamente.