Un dato tutt’altro che scontato, visti i fiumi d’inchiostro versati per dimostrare il disinteresse e l’”invisibilità” delle giovani generazioni italiane. D’altronde, che i giovani cerchino di capire, di trovare il “bandolo della matassa” nell’immenso bailamme politico di questi ultimi mesi, mi pare cosa meritoria, se non addirittura eroica. La spiegazione di questo atteggiamento è in fondo abbastanza semplice: in gioco, in un modo o nell’altro, c’è, non tanto il loro presente, quanto il loro futuro, e i giovani rispetto a questo non possono non essere sensibili. Il fatto che si interessino di politica però non vuol dire che abbiano un buon giudizio dell’operato dei politici italiani. Tutt’altro. Il 90 per cento dei giovani intervistati ha poca o per nulla fiducia in loro. Dicono che si fanno i loro interessi e che hanno troppi privilegi. A dire il vero in questo caso le risposte seguono dei clichè che sempre accompagnano chi ricopre posti di potere. E’ significativo però che la totale sfiducia verso i politici sia così alta. Ancora una volta si registra una profonda incapacità della politica ad intercettare i bisogni dei cittadini e, in questo caso, dei cittadini giovani. Giovani che ancora vedono nel lavoro e nella famiglia i valori più importanti che la politica dovrebbe tutelare, i valori oggi più a rischio, più difficili da salvaguardare. Sotto i bombardamenti di una società che più che ad unire pensa a disgregare e a rendere tutto traballante ed insicuro, ritenere centrali valori come questi è una sfida che ci restituisce un ritratto inedito, forse dimenticato, dei giovani italiani.
Guardare il bicchiere mezzo pieno però, quel 40 per cento di temerari che si inoltrano quotidianamente nella selva dell’informazione politica, non ci deve far dimenticare che più della metà dei giovani prova disinteresse, e si potrebbero usare termini ben più forti, per tutto ciò che è politico. Vi sono giovani che non aprono un giornale, che leggono pochissimo, che, anche se iperconnessi alla “rete”, vivono completamente scollegati dai luoghi della comunità in cui si prendono le decisioni, in cui si dovrebbe lavorare per il “Bene Comune” del Paese.
Questi giovani certo dovrebbero cambiare. Per far questo però non possono non essere aiutati. E forse, se la politica oggi riuscisse a trasmettere una testimonianza sincera di servizio e di impegno nella realizzazione del bene della comunità, molte persone, compreso quel 60 per cento di giovani disinteressati, un quotidiano ogni tanto lo comprerebbero.