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In un’ epoca difficile come quella attuale, la speranza di realizzare una sempre più elevata sovrapposizione tra bene individuale di ogni persona e bene comune per tutti, deve essere l’ultima a morire.

Mi ricordo un detto popolare della mia gioventù “ognuno per sé, Dio per tutti” che ai bambini veniva in genere spiegato in questo modo : Dio si prende cura di tutta l’umanità, ma che al tempo stesso ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e deve fare il proprio lavoro. Oggi, la prima parte “ognuno per sé” viene troppo spesso interpretata in ben altro senso, ossia che ognuno deve farsi i fatti suoi e deve guardare al proprio interesse, senza preoccuparsi degli altri. Per fortuna, milioni di volontari pensano e agiscono ancora come ai tempi della mia gioventù.
 
In questo contesto, credo che il detto popolare dovrebbe essere cambiato nel seguente “Dio ( l’etica, la propria coscienza, i propri valori per i laici) per ognuno e ognuno per tutti” da interpretare nei seguenti termini :
a)     ognuno deve essere guidato dai propri valori fondanti (Dio, etica, coscienza); poiché, così facendo, contribuisce a fare il bene proprio;
b)      ma contemporaneamente deve farsi carico, almeno in parte, dei problemi comuni e generali di tutta la società;
c)      in questa prospettiva sarà possibile, almeno io spero, affrontare i gravi problemi e rischi che la società multietnica, multiculturale e multireligiosa, nonché l’economia globale, sta vivendo in questo periodo con fatti tragici e con fenomeni economici che penalizzano i paesi e i gruppi deboli.
Nella società del passato (e in quelle totalitarie dove anche le libertà più elementari sono negate), l’omogeneità della popolazione e dei vari gruppi sociali, naturale e condivisa oppure al contrario imposta, rendeva facile individuare il bene comune. Esso era costituito dall’insieme delle regole e delle scelte che erano largamente condivise (o purtroppo imposte). In una società fortemente differenziata, si può parlare di bene comune se ognuno ha la possibilità, la libertà di vivere, rafforzare, rendere esplicita la propria identità e, perché no, i propri interessi, ma al tempo stesso è disposto a rinunciare a qualcosa per consentire ad altri di mantenere, manifestare la propria identità e soddisfare le proprie esigenze materiali o spirituali e persegue i propri interessi.
E’ una utopia ? Forse, ma senza utopie perseguite con pragmatismo e realismo (cosa assai diversa dalla realpolitik) non è possibile affrontare la crisi della società moderna i cui sintomi sono sempre più chiari ed evidenti ogni giorno. La speranza, di cambiare in meglio, di poter realizzare una sempre più elevata sovrapposizione tra bene individuale di ogni persona (che non diventa massa, consumatore, fattore produttivo) e bene comune di tutti, deve essere l’ultima a morire.
 
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