È una riforma tagliata su misura per proteggere gli studenti dallo strapotere baronale. Eppure gli studenti non se ne sono accortirn
Molte le novità. Gli studenti valuteranno i professori che dovranno certificare la loro presenza a lezione. Gli scatti di stipendio andranno solo ai docenti migliori.
Ci sarà un codice etico per evitare conflitti di interesse. Il Rettore non potrà rimanere in carica per più di 8 anni. Accanto al Rettore, per rendere più efficiente e aperta l’Università, ci sarà un Presidente del Consiglio di Amministrazione (come avviene oggi in Italia alla Bocconi o alla LUISS e, nel mondo, nelle migliori università).
Al centro del provvedimento c’è il tentativo di liberare il nostro sistema universitario da modelli organizzativi inefficienti, da vincoli burocratici e da abitudini corporative che finora hanno appesantito la vita dei nostri Atenei.
Il merito, il finanziamento premiale, la selezione dei migliori e l’internazionalizzazione potranno sostituire l’appiattimento retributivo, il finanziamento su base storica e egualitaria, le assunzioni per anzianità e la chiusura internazionale.
Ma occorre essere realistici. Il Partito della conservazione e del corporativismo gode di ampi consensi in Parlamento. Consensi trasversali che albergano sia nella maggioranza che nell’opposizione e che faranno di tutto per impedire che questa riforma vada in porto.
Potrebbe essere un segno dei tempi però la rottura dell’alleanza milazziana tra movimenti studenteschi e potentati baronali che in Italia dura dalla famosa “Pantera” del 1989, che si è opposta al grande disegno riformatore e autonomistico del Ministro Ruberti, fino all’”Onda” dello scorso anno, che ha messo in subbuglio le università come azione preventiva per evitare qualunque Riforma.
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Nel Medioevo erano gli studenti a scegliere (pagandoli bene) i migliori professori e nessuno si scandalizzava se l’aristocrazia studentesca dell’epoca puntasse, come oggi le squadre di calcio, ad avere come docenti i migliori fuoriclasse.
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