L’enormità della copertura mediatica offerta al coronavirus sembra essere strettamente legata alla strenua guerra di opposizione che gli Stati Uniti stanno facendo a un nuovo ordine multipolare, a cui la Cina risponde mettendo in mostra i suoi ‘muscoli produttivi’ tirando su un ospedale in pochi giorni…

Quasi nessuno si sofferma a pensare che l’influenza colpisce ogni anno qualche milione di persone in Italia e provoca migliaia di decessi una cifra elevata a cui non si fa caso perché questa malattia la prendono un po’ tutti di solito senza particolari conseguenze a meno di non avere fragilità pregresse (età avanzata, altre patologie ..).

Nel caso del coronavirus (nella foto) ci troviamo di fronte a un patogeno con una bassa mortalità (attorno al 2%) agli esordi (di solito ogni nuova infezione parte con una mortalità elevata che va scemando nel tempo) e con un focolaio molto localizzato nello spazio (una provincia cinese), insomma una cosa tutto sommato tranquilla.  A conti fatti, l’esito di gran lunga più probabile per chi si dovesse infettare è la guarigione in pochi giorni. Eventi del genere (insorgenza di nuovi virus per un contagio inziale animale-uomo che poi diventa contagio diretto tra esseri umani) si verificano nel mondo più o meno ogni settimana, finiscono come sono iniziati, e sono noti solo agli esperti del settore.

Questi i fatti reali, passiamo ora alle ‘narrazioni’ che in questi tempi oscuri sono diventate più importanti della realtà. I mezzi di comunicazione di massa ci propinano panico a piene mani con città cinesi assediate modello peste del quattordicesimo secolo, stranieri evacuati da ponti aerei e messi in quarantena, improbabili sciocchezze su medicinali ‘per combattere il virus’. Queste narrazioni a loro volta provocano gravi (..poi ci torniamo su) ripercussioni economiche, acceso dibattito politico con accuse di faciloneria (opposizioni) e orgoglio dell’efficacia della risposta (governo). La natura del contagio è insomma di tipo psicologico e legata alla diffusione di qualcosa di peggio di un virus respiratorio: il panico. La condizione favorente il contagio è la sproporzionata importanza data alle emozioni primarie che decenni di ‘elogio degli istinti spontanei’ ci hanno consegnato.

 

L’enormità della copertura mediatica offerta al coronavirus (con l’uso spropositato dell’aggettivo ‘globale’ che comincia a provocarmi delle eruzioni cutanee) sembra essere strettamente legata alla strenua guerra di opposizione che gli Stati Uniti stanno facendo a un nuovo ordine multipolare, a cui la Cina risponde mettendo in mostra i suoi ‘muscoli produttivi’ tirando su un ospedale in pochi giorni.

Anche qui mi fa piacere tornare alle dimensioni: una diminuzione del 2.5% dell’indice Dow Jones attribuita dagli ‘analisti’ (qualsiasi cosa siano) alla ‘pandemia in corso’ è letta come un ‘crollo’, laddove una cattiva annata di un contadino può comportare una riduzione del raccolto del 30-40%. Concentriamoci su questa discrepanza ricordando di sfuggita come Latino e Statistica di base siano diventate preziose armi di ribellione per riconoscere il reale significato delle parole e la portata degli eventi.

Utilizzando un termine diventato anch’esso insopportabile per la troppa usura, diremmo quindi che una società agricola mostra una ‘resilienza’ di un ordine di grandezza superiore rispetto al mondo contemporaneo. Allora vi propongo due ipotesi, barrate con una crocetta la preferita:

  1. Un sistema che considera un crollo una variazione del 2,5% è un sistema talmente instabile da avere una vita molto breve, ci si prepari dunque all’Apocalisse.
  2. Far credere che una variazione del 2,5% sia una catastrofe epocale serve a convincere delle virtù salvifiche di autodesignate elite a cui si deve necessariamente affidare la conduzione di un mondo tanto complesso. Ci si prepari allora alla lotta contro tali elite.

Io propendo per la risposta b) e vi offro pertanto un luminoso esempio di lotta culturale, portato avanti da un pensatore sopraffino che si nasconde dietro lo pseudonimo di Gennaro.

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