I dati che riguardano questo fenomeno spesso non sono esaustivi nè di semplice interpretazione: si dibatte talora se il concetto di ‘seconda generazione’ vada applicato soltanto a un immigrato che è nato in Italia o vi risiede dalla prima infanzia oppure anche a quei ragazzi stranieri – che potremmo definire ‘in mezzo al guado’ (in-between generation)- che hanno dovuto confrontarsi con i sistemi sociali, culturali ed educativi di due o più differenti Paesi.
Il tema delle seconde generazioni in Italia è ancora relativamente poco esplorato dagli stessi studiosi per via del fatto che esso ha assunto proporzioni significative soltanto in anni abbastanza recenti. Ibridazioni e ‘contaminazioni’ culturali sono però già ampiamente in atto tra i banchi di scuola e in altri settori che riguardano il segmento più giovane della società italiana, determinando trasformazioni in senso ampiamente bidirezionale. Nell’arco di un ventennio il numero di alunni stranieri nelle scuole italiane (10.000 nel 1986) è aumentato di quasi quaranta volte, seguendo una progressione decisamente più accelerata rispetto al ritmo con cui è aumentato il numero di immigrati in Italia. Allo stato attuale, circa il 60% delle scuole italiane di ogni ordine e grado ha uno o più iscritti di nazionalità non italiana.
Molto probabilmente questa crescita si accentuerà nel corso dei prossimi anni, se si tiene conto che l’Italia è divenuta, tra i Paesi della Unione Europea, la realtà maggiormente investita da flussi migratori, collocandosi al secondo posto tra i Paesi dell’Occidente, dopo gli Stati Uniti.
A questo proposito può essere esplicativo un raffronto con la Germania, che negli anni Novanta deteneva il primato europeo per arrivi di immigrati. In Germania risiedono attualmente 7 milioni di immigrati – circa il doppio rispetto all’Italia – ma il saldo attivo tra ingressi e uscite di persone provenienti da Paesi extra UE è al di sotto delle 50.000 persone,contro i 600.000 dell’Italia; rispetto alla Germania nel nostro Paese risultano più numerosi anche i ricongiungimenti familiari e l’incidenza della popolazione immigrata sul totale delle nascite, pari al 10%
L’insieme di questi dati, e la correlata, crescente importanza delle ‘seconde generazioni’nel nostro Paese, richiedono risposte improntate a principi non soltanto di equità, ma di concretezza e buon senso. Quando si parla di figli di immigrati occorre tener conto sia dei legami familiari sia dei rapporti con l’Italia – spesso prevalenti rispetto a quelli con il Paese di origine dei genitori.
Si tratta di aspetti peraltro enunciati e riconosciuti nel testo unico che disciplina l’immigrazione (legge 286/98) e, più recentemente, nel decreto legislativo 5/2007. Una recentissima circolare ministeriale ha inoltre conferito agli immigrati neomaggiorenni il diritto ad accedere a un permesso di soggiorno per motivi familiari, mettendo fine ad un paradosso: quello per cui un giovane immigrato, magari vissuto sempre in Italia, al compimento dei 18 anni veniva considerato un “nuovo arrivato” e posto di fronte all’obbligo di ottenere celermente un permesso per studio o lavoro; non adempiendo a questo obbligo, era a norma di legge tenuto al ‘rimpatrio’ verso un Paese di origine spesso ‘straniero’ sia in termini di esperienza personale sia di legami familiari.
In rapporto alle seconde generazioni, la questione della cittadinanza può essere vista sotto un profilo giuridico-legale, il quale limita la possibilità di ottenere la cittadinanza ai neomaggiorenni extracomunitari che siano effettivamente nati in Italia. L’idea di cittadinanza, in termini di diritti e doveri, può essere vista anche in chiave di partecipazione e lotta all’esclusione sociale. Qui entra in causa soprattutto la necessità di costruire un nuovo modello ‘italiano’ per le giovani generazioni immigrate, che non si limiti a ricalcare itinerari già precedentemente battuti: il modello tedesco – considerevolmente trasformato nel corso degli anni – originariamente basato su una logica di separazione tra cittadini e immigrati; il modello integrazionista/comunitarista inglese e il modello assimilazionista francese. Quest’ultimo modello, tra i più generosi in Europa per quel che riguarda i diritti di cittadinanza e l’accesso all’istruzione superiore e universitaria, non è stato in grado di debellare concrete pratiche discriminatorie verso i cittadini di origine immigrata, le quali si esprimono sul piano sociale, abitativo, lavorativo e nei rapporti con la pubblica autorità.
Fino ad oggi un modello italiano, scarsamente definito su un piano teorico, nella prassi è stato generalmente centrato su un’integrazione subalterna, non identificabile né con una logica assimilazionista né con un atteggiamento ‘separatista’ in senso stretto. Il crescente rilievo numerico delle seconde generazioni avrà in prospettiva un peso non indifferente nel definire l’agenda politica e sociale in rapporto all’immigrazione. In questo processo un ruolo fondamentale hanno la scuola e la famiglia; ma nel lottare contro l’esclusione e promuovere partecipazione è bene che entrino in causa anche altre importanti “agenzie di socializzazione” che operano nei differenti ambiti della società civile.