rnE noi in che direzione andiamo? Quella dell’ostruzionismo nei confronti del trattato di Kyoto ergendoci a leaders di coloro che si oppongono al cambiamento. Forse anche il nostro governo ha capito l’opportunità ventura di conciliare creazione di valore economico, sociale ed ambientale attraverso la nuova rivoluzione ambientale. Ma con la solita furberia italiana, che denota la nostra scarsa affidabilità ma che noi riteniamo indice di grande intelligenza, sta cercando di beneficiare di un bene pubblico globale (la sostenibilità ambientale) pagando il prezzo più basso possibile.
Negli anni ’90 sono morte circa 600.000 persone per disastri naturali collegati ai problemi del clima, di questi il 95 percento nei paesi poveri.
Da queste drammatiche evidenze è nato un nuovo concetto, quello di “giustizia climatica”, che lega inscindibilmente i problemi del clima a quelli della povertà e della giustizia sociale. E’ del tutto evidente infatti che impegnarsi contro il riscaldamento globale non è un atteggiamento “ecocentrico” in quanto le maggiori vittime delle catastrofi ambientali sono le popolazioni di quei paesi che hanno minori risorse e tecnologia per difendersi dalle calamità. Per questo motivo contribuire alla riduzione delle emissioni globali vuol dire allo stesso tempo lottare contro una delle conseguenze più nefaste della povertà economica.
Assumendo un atteggiamento di prudenza ed evitando catastrofismi speriamo tutti che l’ecosistema disponga di meccanismi spontanei di riequilibrio contro il fenomeno dell’aumento della temperatura media volti per evitare gli scenari negativi più temuti. Allo stesso tempo dobbiamo però constatare che le trasformazioni occorse negli ultimi anni e sotto gli occhi di tutti dipendono da un aumento di temperatura media di 0,76 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-rivoluzione industriale. In uno scenario senza interventi correttivi l’aumento di temperatura media arriverebbe a 6.4 gradi nel 2100 con conseguenze probabilmente drammatiche
La questione ambientale non è più, dunque come si riteneva fino a pochissimo tempo fa, un problema intergenerazionale che riguarda principalmente le generazioni future. Essa riguarda la generazione presente ma, come molti problemi, può essere trasformata in opportunità.
Il famoso rapporto Stern sottolinea infatti che, nello scenario senza intervento, i costi legati ai danni del cambiamento climatico possono arrivare al 20 percento del PIL mondiale mentre investendo l’un percento del PIL mondiale in un programma di riconversione industriale verso la sostenibilità ambientale è possibile neutralizzare la quasi totalità di questi maggiori costi.
Il programma del nuovo presidente americano, preoccupato dell’emergenza climatica ma anche desideroso di emanciparsi dalla dipendenza dai paesi petroliferi per l’approvvigionamento di energia prevede di investire 150 miliardi di dollari nel settore delle energie rinnovabili e della riconversione ambientale calcolando che da essi possano nascere almeno 5 milioni di posti di lavoro. La rivoluzione ambientale (nuovi modelli ibridi di automobili, impianti di energia rinnovabile, modifica dell’edilizia in direzione di una maggiore sostenibilità ambientale) sarà probabilmente l’equivalente della Tennessee Valley Authority rooseveltiana con la quale, con un programma di spese infrastrutturali, l’allora presidente degli Stati Uniti fece uscire il paese dalla grande depressione seguita alla crisi del ’29.
Il “visionario” Rifkin vede, in un parallelo con la rivoluzione della new economy e di internet degli anni ’90, la nascita di “intergrid”, ovvero di una rete di auto produttori locali di energia che scambiano la stessa sul mercato.