In quell’impero, l’Arte della Cartografia raggiunse una tale Perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una Città e la mappa dell’Impero tutta una Provincia. Col tempo codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una mappa dell’Impero che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo studio della cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Mappa era inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degl’Inverni. Nei deserti dell’Ovest rimangono lacere rovine della mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il paese non è altra reliquia delle Discipline Geografiche. (Suarez Miranda, Viaggi di uomini prudenti, libro quarto, cap. XLV, Lérida, 1658)

Il meraviglioso racconto di Jorge Luis Borges qui riprodotto in versione integrale si intitola ‘Del rigor en la ciencia’ ‘Il rigore della scienza’ appunto e ha una forza profetica poderosa. Esso è la descrizione più lucida e precisa che conosco della situazione che stiamo vivendo non solo nella scienza, ma in tutta la cultura e la società dei ‘deserti dell’Ovest’ dove è stato dato di vivere alla nostra generazione. Non a caso però il racconto si riferisce alla scienza perché è lì dove è più agevole rendersi conto del tipo di sciagura che sta avvelenando la tarda modernità.

L’avventura della scienza moderna inizia nel diciassettesimo secolo con una profonda esigenza di semplicità e chiarezza, la consapevolezza cristiana di essere ‘fatti a immagine e somiglianza di Dio’ dava la sicurezza che una natura profondamente (anche se misteriosamente) ordinata e armonica, potesse essere alla portata della comprensione di chi, come l’uomo, pur facendo parte a pieno titolo della Creazione, ne occupasse comunque una posizione privilegiata in quanto ‘custode’ della Creazione stessa e, essendo fatto ad immagine e somiglianza del Creatore, potesse individuare nella natura le tracce da Esso lasciate attraverso la ragione. La ragionevolezza (e quindi la comprensibilità) della natura era una conseguenza della ragionevolezza del suo Creatore di cui la nostra ragione umana, era il (flebile ma fedele) eco. Un pagano avrebbe solo potuto avere terrore della natura e magari ingraziarsi un Dio separato e di mutevole umore per non esserne schiacciato; i fedeli delle religioni dell’estremo Oriente avrebbero potuto sentirsi parte organica del disegno ma senza alcuna possibilità di potersene per un lungo attimo (con la parte divina di sé) trarre fuori e dare un’occhiata ai piani di costruzione (solo alla fine di un doloroso ciclo di reincarnazioni magari l’uscita dal giro, ma non un gioioso qui e ora). L’Incarnazione, fondamento della nostra Fede, dava invece al mondo cristiano la tranquilla sicurezza di una parentela così stretta con l’Artefice da poter tentare la scalata.
Nei secoli la scalata fu portata avanti con umiltà e tenacia, convinti insieme dei propri limiti e delle proprie forze. Sto parlando della maggioranza degli scienziati, non certo dei filosofi che spesso presi dalla hybris del dominio, portarono tanto in là il loro orgoglio dal pensare di poter fare a meno di un Creatore e che all’uomo fosse data non solo la possibilità di un itinerario progressivo di conoscenza con un traguardo posto alla fine dei tempi, ma che il dominio totale della natura fosse lì a portata di mano. La strada bene o male venne percorsa abbandonando i sogni di dominio a intellettuali e dittatori e tenendo per sè l’umile ed insieme esaltante lavoro della scienza, avendo sempre in mente la necessità di capire nel profondo la natura, non semplicemente di ricopiarne tali e quali le manifestazioni ultime.
Gli scienziati comprendevano benissimo che le conoscenze che si svelavano nel loro cammino erano non solo parziali ma che dipendevano strettamente dalla tacita accettazione di un “contratto”.
La natura di questo contratto era basata sulla fiducia nella ragione e nella fondatezza e universalità delle esperienze materiali. Per cui quando nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford, con quello che forse è il più bell’esperimento di tutta la storia della scienza, dimostrava la fondatezza del modello planetario dell’atomo (quello che abbiamo studiato a scuola avente il nucleo positivo formato da protoni e neutroni al centro con le cariche negative costituite da elettroni che gli girano attorno ad una distanza immensa rispetto alle dimensioni del nucleo) fondava l’intera sua dimostrazione sull’accettazione a priori del fatto che gli atomi (ovviamente invisibili) si comportassero come delle palle (visibilissime ed elemento quanto mai comune della nostra esperienza materiale), per cui palle ‘piccole’ urtando contro palle ‘grandi’ dovessero deviare dalla loro traiettoria. Se avessimo scoperto (come effettivamente avvenne) che, lungi dall’essere deviate, le supposte ‘palle piccole’ avessero attraversato le ‘palle grandi’ avremmo dovuto concludere che gran parte dello spazio occupato dai nostri atomi-palla era vuoto così confermando il modello planetario.
Ad essere del tutto rigorosi (di quel rigore demoniaco ed autodistruttivo di cui parla Borges nel racconto) non è per niente detto che il comportamento degli atomi sia uniformabile a quello di sfere macroscopiche e quindi il completo rigore ci avrebbe suggerito di non accettare il modello atomico di Rutherford. Avremmo ovviamente fatto molto ma molto male, ci saremmo persi gran parte degli sviluppi (e le relative applicazioni tecnologiche) della fisica, della chimica e della biologia; poi, certo, il modello era molto parziale ma ha funzionato egregiamente, visto che parziale è ben differente da falso o fuorviante.
Ma cosa succede quando si perde la fiducia nella ragione e soprattutto quando la si perde perché, avendola idolatrata e talmente snaturata da averla ridotta a caricatura, ci sembra che questa ragione ci abbia portato nell’abisso? È la storia degli ultimi cento anni dove le stragi più orrende, le più terribili ingiustizie sono state perpetrate da persone che si consideravano moralmente ineccepibili e, spesso in buona fede, immaginavano un radioso futuro per l’umanità fondato sul trionfo di quello che chiamavano ragione con il supporto di quello che chiamavano scienza. Beh, è un po’ come quando veniamo truffati oppure ci rubano in casa, ci viene una gran paura unita ad un astio sottile verso il mondo, siamo invasi da una smania ossessiva di controllo e non ci affidiamo più alla ‘normale sensatezza’ della vita. Escogitiamo meccanismi di difesa sempre più sofisticati per il nostro portone, veniamo continuamente presi dall’ansia di aver dimenticato qualcosa, di aver perso le chiavi o che qualcuno sia entrato in possesso della password della nostra carta di credito. Diventiamo malfidati e non accettiamo più nessun genere di ‘contratto’ del tipo di quello proposto dal prof. Rutherford, l’unica cosa che pensiamo ci soddisferebbe veramente è la CONOSCENZA TOTALE E COMPLETA , meglio se ottenuta senza alcuna ipotesi di partenza o condizione iniziale, vorremmo dormire abbracciati alle nostre ricchezze, vorremmo avere la mappa grande come il mondo perché nessun particolare sconosciuto possa turbarci, vorremmo avere la ‘particella definitiva’, la mappa completa del genoma umano, la mappa completa delle proteine, dei metaboliti, delle esposizioni alle sostanze tossiche … così perdiamo la ragione volendola tenere sempre legata (cosa che accade spesso ai mariti e alle mogli gelosi senza alcun motivo).
Capiamo insomma che la smania trionfalista dello scientismo è figlia non dell’esaltazione della ragione ma della fine della fiducia in essa e, anche se conditi da dosi (neanche tanto piccole) di malafede, gli enormi sforzi per arrivare alle varie ‘conoscenze complete’ (ma necessariamente statiche e quindi di una completezza illusoria) del genoma o del proteoma sono il segno della mancanza di sicurezza nelle proprie capacità di comprendere il mondo. La tecnologia dei nostri tempi solletica questo sguardo ansioso: ‘il web che contiene TUTTO lo scibile’, i social network con cui ci possiamo ‘collegare con TUTTI’, le notizie ‘IN TEMPO REALE’…
Ma le mappe cominciano a cadere in pezzi, è con un malcelato fastidio che giornali culturalmente affini allo scientismo come ‘La Repubblica’ si trovano a dover ammettere (la notizia è di questi ultimi giorni) che non tutto è scritto nei geni e quindi corrono a procurarsi un altro surrogato totalizzante (‘l’epigenetica’). Ma si capisce che la Grande Mappa si sta sfaldando e sta veramente diventando preda di ‘Animali e Mendichi’ (le folli elucubrazioni di chi pretende di spiegare l’animo umano dalle mappe di risonanza magnetica, le spiegazioni pseudo evolutive di qualsiasi nostro sentimento …) e lo stesso processo sembra ripetersi nelle scienze economiche, nelle ideologie politiche …. È quella che chiamiamo crisi.
Ed è quello che a noi Cristiani che, a differenza di altri, abbiamo fondati motivi di credere nella ragione, proprio a causa della consapevolezza di quella filiazione divina con cui iniziavamo spavaldi il viaggio nella scienza, non dovrebbe far paura per niente. Siamo noi a dover ripopolare i Deserti dell’Ovest. Manca molto tempo (nessuno può sapere quanto) al nuovo inizio. Ora cerchiamo di salvare i pezzi di Mappa che serviranno ai nostri figli e nipoti come tanti anni fa i monaci salvarono la mappa in rovina del mondo antico.

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