Questo disegno di legge è partito pensando alla situazione estrema dello stato vegetativo persistente e riguarda adesso tutti i soggetti che si trovano «nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario». Ma proprio la concentrazione sulla questione della nutrizione e sull’idea che fosse possibile sganciarla dal vincolo rigoroso del principio del consenso informato per la sua natura non terapeutica sta producendo un paradosso.
Il rifiuto consapevole di un trattamento sanitario da parte dell’interessato è un limite invalicabile che il medico non può violare. Si tratta però di un rifiuto che può implicare il lasciarsi morire anche quando il medico è in grado di far guarire il paziente.
Più nello specifico, allo stato della legislazione e delle prassi sanitarie, mentre è pacifico che, qualora un paziente vigile e cosciente rifiuti un qualunque trattamento sanitario, non potrà esserci alcun medico che glielo imponga, non altrettanto può dirsi con riferimento ad un cittadino che, in piena condizione di salute, stabilisca ora per allora di rifiutare qualunque trattamento sanitario. Nel momento in cui fosse ricoverato in stato di incapacità di intendere e di volere, i medici oggi non sono tenuti a considerare i desideri precedentemente espressi, e comunque dovranno sempre attivarsi ove si verifichino situazioni di urgenza. Anche nel caso della sentenza del caso Englaro non si sono rese illimitate le possibilità di esprimersi sul rifiuto di cure, ma queste ultime sono state circoscritte al distacco di un presidio idoneo a tenere in vita il paziente in condizione di asserita irreversibilità dello stato vegetativo.
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità successiva ha affermato che la validità di un consenso preventivo a un trattamento sanitario è esclusa in assenza della doverosa, completa, analitica informazione sul trattamento stesso. Perciò parificare una situazione di rifiuto di cura nell’imminenza della somministrazione della stessa a una situazione di rifiuto di terapie quando l’evento patologico può essere solo ipotizzato ora per allora, sarebbe un fatto totalmente innovativo.
Ora il disegno di legge consente all’articolo 3.2 di dichiarare anticipatamente il proprio orientamento «circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari», senza indicare quali. Dunque anche una semplice cura antibiotica o una leggera terapia cortisonica potrebbero teoricamente essere indicati tra i trattamenti da non somministrare, pur risultando fondamentali per superare talune patologie. Ovviamente il disegno di legge trova poi il suo rimedio nel fatto che il medico possa non seguire tali indicazioni: si finirebbe così col responsabilizzare eccessivamente il medico, chiamato a districarsi in una congerie pressoché illimitata di dichiarazioni anticipate onde verificare quelle da disattendere.
Per tutti questi aspetti, crediamo sia ragionevole e auspicabile, per tutti quei trattamenti che la scienza medica considera ordinari e proporzionati, chiedere un bilanciamento più prudente quando manca il requisito dell’attualità della volontà.
Le scelte che il Parlamento farà su questo punto saranno decisive per definire l’impianto complessivo della legge e le sue conseguenze. A nostro avviso anche più di quelle che riguardano la nutrizione artificiale, sulla quale abbiamo avuto e continuiamo ad avere una posizione diversa. A partire però – e riteniamo che questa sia la cosa più importante – da ragioni che entrambi rispettiamo e che meritano attenzione perché segnalano problemi aperti da trattare con il massimo della saggezza possibile.
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