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Il senso d’ingiustizia, ormai molto diffuso tra i cittadini italiani, trova delle robuste conferme empiriche anche in altre dimensioni dell’agire sociale diverse da quelle economiche. Negli ultimi anni si registra un indebolimento di alcuni diritti universali. In particolare, preoccupa la difficoltà di accesso ai servizi sanitari gratuiti, che ha generato un aumento della spesa delle famiglie italiane costrette a rivolgersi a strutture private.

Negli ultimi anni la povertà, in particolare quella assoluta, ha ricevuto una notevole attenzione da parte dei media e dei policymakers, dovuta soprattutto alla profonda crisi economica e alla concomitante assenza di una misura strutturale universale adatta ad affievolirne gli effetti negativi sulla popolazione; al contrario la disuguaglianza, fenomeno certamente collegato alle povertà, ma sostanzialmente differente, ha ricevuto minore considerazione.

La povertà assoluta è una condizione precisa che accomuna singoli cittadini o famiglie che vivono sotto una data soglia economica; la disuguaglianza invece è una condizione esprimibile soltanto in termini comparativi, essa si evince dal confronto, nella relazione. Come la povertà la disuguaglianza è multidimensionale e coinvolge numerose sfere della vita delle persone, oltre a quella economica. Essa è multiforme e si manifesta in svariati modi, ad esempio: nelle differenti opportunità di accesso ai servizi pubblici, nei differenti trattamenti di fronte alla giustizia, nelle differenze tra i generi. Più in generale, nelle differenti capacità di decidere del proprio destino.

Pur con molti limiti, la misurazione delle disuguaglianze sulla base dei principali indicatori economici può fornirci delle indicazioni utili per comprendere le dimensioni del fenomeno. Esse crescono sia a livello globale sia nel nostro Paese, le sue dimensioni sono ormai insostenibili: secondo Oxfam l’82% dell’incremento della ricchezza mondiale è rimasto nelle tasche dell’1% della popolazione. In Italia le cose non vanno molto meglio: il 50% più povero degli italiani possiede soltanto 8,5% delle ricchezze nazionali.

Il senso d’ingiustizia, ormai molto diffuso tra i cittadini italiani, trova delle robuste conferme empiriche anche in altre dimensioni dell’agire sociale diverse da quelle economiche.  Negli ultimi anni  si registra un indebolimento di alcuni diritti universali. In particolare, preoccupa la difficoltà di accesso ai servizi sanitari gratuiti, che ha generato un aumento della spesa delle famiglie italiane costrette a rivolgersi a strutture private. Anche in questo caso i dati aiutano a comprendere e quantificare il fenomeno: il 33,7% delle spese sostenute dalle famiglie nel 2017 sono servite a pagare parcelle, ticket sanitari o premi per le assicurazioni contro malattie e infortuni. L’importo totale è notevole ed è pari a 25,2 miliardi di Euro (Osservatorio del welfare familiare, 2017).

Le Acli, che intercettano milioni di cittadini tramite i loro servizi, ben conoscono questo fenomeno. Negli anni hanno riscontrato un aumento delle spese sanitarie private, indicatore inequivocabile di un sistema sanitario sempre meno in grado di rispondere efficacemente e in tempi brevi/utili ai cittadini. Ma c’è di più: analizzando i dati elaborati dall’Iref (Istituto di ricerca delle Acli) balza all’occhio quanto l’aumento della spesa non sia uguale per tutti i contribuenti.

Mediamente si spendono 1.118 euro annui. Questa cifra tende ad aumentare con l’aumentare dell’età. I più giovani contribuenti spendono 589 euro all’anno, la soglia psicologica dei 1.000 euro viene raggiunta e superata al raggiungimento dei 50 anni. Come è logico attendersi, a spendere di più sono i cittadini di età compresa tra i 75 e gli 80 anni compiuti (1.250 euro per la fascia di età 75-79; 1.269 per gli over 80). L’età non è l’unica variabile che incide sulla spesa sanitaria delle famiglie. Anche i carichi familiari possono influire negativamente: per i cittadini con moglie e figli a carico la spesa media annua è di circa 1.250 euro, che sale a 1.400 euro per le coppie di coniugi, per arrivare a circa 1.500 euro (1.484) per le persone sole con figli a carico. Un ulteriore elemento di distinzione è la regione di appartenenza degli utenti del Caf Acli. La tabella 1 mostra chiaramente come le regioni in cui si spende di più sono quelle del Nord: Lombardia (1.236 euro), Liguria (1.182 euro), Friuli Venezia Giulia (1.126 euro).

Fanalino di coda di questa speciale classifica sono soprattutto le regioni del Sud Italia: Basilicata (742 euro), Puglia (844 euro), Sicilia (865 euro) e Molise (874 euro). Un dato interessante è quello del Lazio che con i suoi 1.287 Euro medi è la regione in cui si spende di più. Inoltre, i cittadini laziali, per ogni 100 euro dichiarati, ne spendono 4,3 in sanità, un livello molto elevato. Da questo punto di vista, ossia considerando la spesa per ogni 100 Euro dichiarati, emergono nitidamente anche le differenze di genere: a fronte dei 3,7 euro ogni 100 spesi dagli uomini, le donne ne spendono ben 5. Un dato onestamente molto elevato, anche tenendo conto del fatto che il reddito delle donne è solitamente inferiore a quello degli uomini.

Tab. 1 – Spesa sanitaria pro capite e regioni italiane

Regione Spesa pro capite (Euro) Regione Spesa pro capite (Euro)
Lazio 1.287 Umbria 975
Lombardia 1.236 Calabria 956
Liguria 1.182 Marche 954
Emilia Romagna 1.147 Campania 934
Friuli Venezia Giulia 1.126 Sardegna 927
Piemonte 1.117 Abruzzo 916
Veneto 1.090 Molise 874
Valle d’Aosta 1.082 Sicilia 865
Bolzano 1.074 Puglia 844
Toscana 1.069 Basilicata 742
Trento 1.023 Totale 1.118

Elaborazione Iref su dati Caf – Dichiarazione 730 2018

 

I dati del Caf Acli, elaborati dall’Iref, non lasciano molti dubbi: in Italia si spende molto per la salute. Queste spese aumentano se il contribuente è donna, con figli a carico, anziano/anziana.

Queste evidenze empiriche trovano conforto dai risultati pubblicati dall’osservatorio del welfare familiare, che mette in luce anche ulteriori elementi di preoccupazione: oltre 3 famiglie su 10 hanno dovuto rinunciare alle cure per la salute per questioni economiche. Di quelle che sono riuscite a porvi rimedio, circa il 25% ha avuto difficoltà e ha dovuto intaccare i risparmi o chiedere aiuto a parenti e conoscenti.

È evidente, dunque, quanto le famiglie italiane e il sistema di assistenza pubblico siano in affanno e quanto la piaga della disuguaglianza e dell’ingiustizia sociale siano tutt’altro che un’ipotesi nel nostro Paese. Per questo motivo abbiamo deciso di agire, aderendo in qualità di promotori alla campagna triennale Chiudiamo la Forbice, volta a “sensibilizzare e informare territori e comunità sulle interconnessioni tra diseguaglianze, diritto al cibo, migrazioni, conflitti, ambiente e finanza (in particolare la questione del debito pubblico)” e a promuovere, tra le altre cose, l’accesso ai servizi pubblici essenziali quale premessa di una vita dignitosa. Ma ciò, pur necessario, non sarebbe sufficiente se non ci adoperassimo anche nella costruzione di strumenti di welfare innovativi, in grado di offrire un antidoto contro il rischio di povertà sanitaria per i nostri associati e, più in generale, per i nostri concittadini. I dati parlano chiaro: c’è un urgente bisogno di riorganizzare la spesa privata delle famiglie italiane onde evitare fenomeni di povertà dovuti alle spese sanitarie sostenute o, peggio, la rinuncia alle cure per motivi economici.

Da molto tempo le Acli Nazionali, attraverso il suo Dipartimento Welfare, il Patronato Acli e i suoi servizi, lavorano alla costruzione e diffusione di una cultura mutualistica sanitaria all’interno del movimento. Con lo scopo di fornire una soluzione concreta ai bisogni dei nostri soci e non solo, abbiamo costituito una società ACLI FARE WELFARE, (frutto della collaborazione tra Patronato e CAF) con l’ambizioso obiettivo di implementare e coordinare i nostri servizi di welfare e con questa abbiamo avviato una fruttuosa collaborazione con Mutua Mba (Mutua Basis Assistance). Ci sembra questa una risposta puntuale alla crisi del sistema di welfare nazionale, coerente con i nostri valori e utile anche a ridurre gli effetti della disuguaglianza sanitaria, fenomeno sempre più diffuso nel nostro Paese.

Sempre in quest’ottica abbiamo elaborato il modello dello “Sportello Unico per la Famiglia”, quale forma di semplificazione all’accesso integrato ai servizi socio-sanitari, per ridurre le disuguaglianze di chi muore di disorientamento nella burocrazia del welfare italiano, dove il ritardo non è nell’ottenere un beneficio amministrativo, ma nell’accesso a servizi fondamentali per il benessere fisico e psicologico che, quando esistenti, sono irraggiungibili perché parcellizzati.

Un nuovo modo, insomma, di andare incontro alle fragilità della gente, dove spesso la necessità sta non in nuovi investimenti economici (l’Italia non può dirsi una Paese avaro in tal senso, pur in tempi di contrazione della spesa sociale e sanitaria), ma nella riorganizzazione e razionalizzazione del sistema esistente.

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