Il volto di Greta Thunberg è diventato un simbolo, riconosciuto a livello internazionale, che ha ispirato i Fridays for Future di tutto il mondo e lo sciopero globale per il clima del 15 marzo. Porta il suo messaggio a Stoccolma, Londra, Bruxelles, anche a Roma, dal Papa (foto da “La Stampa”).
Non so chi ci sia dietro a Greta a gestire la sua immagine, ma sono certo che incontri con capi di stato, l’uscita di un libro, documentari, interviste, fotografie, procurino una pressione enorme su una ragazzina appena sedicenne. E non so quanto tutto questo farà bene al suo futuro personale. Tuttavia, la sua notorietà ha una ricaduta estremamente positiva sul movimento contro il riscaldamento globale.
Sarebbe bello, però, se i giovani manifestanti, a fianco del volto della studentessa Greta che chiede ai governanti di cambiare politica, scegliessero anche altre icone da mettere su magliette e bandiere: esempi di chi ha lottato per cambiare la realtà, scontrandosi con il potere e gli interessi economici, testimoni che hanno messo in gioco la vita. Il movimento non è solo protesta e richiesta, ma anche azione nonviolenta, disobbedienza civile, impegno di lotta. Il volto di Greta può mostrare altri volti.
Il volto di Samir Flores, attivista messicano di 35 anni, ammazzato con due colpi di pistola il 20 febbraio 2019 davanti alla sua casa ad Amilcingo. Era in prima linea nella campagna contro la costruzione della centrale termoelettrica di Morelos, alimentata a gas attraverso un gasdotto che dovrebbe attraversare le colline pedemontane del vulcano Popocatépetl, e che dovrebbe essere raffreddata con l’acqua della valle di Cuautla. Il progetto è osteggiato da una larga parte dell’opinione pubblica messicana per l’impatto ambientale pericoloso dell’opera. La centrale, una volta ultimata, violerebbe i diritti ambientali degli abitanti della zona. Samir Flores era attivissimo anche nel lavoro di informazione ecologista a Radio Amiltzinko: per i suoi programmi aveva ricevuto minacce che poi si sono concretizzate nell’omicidio. Ma la lotta di chi si batte contro questa centrale termoelettrica non si è fermata.
Il volto di Chico Mendes, sindacalista e ambientalista brasiliano di 44 anni, assassinato il 22 dicembre 1988 a colpi di fucile. Raccoglitore di caucciù, attivista del Sindacato dei lavoratori rurali, ha lottato contro il disboscamento della foresta amazzonica, con azioni nonviolente di blocco delle ruspe che subivano repressioni violente e incarcerazioni di centinaia di contadini per oltre un decennio. Chico Mendes è stato arrestato e torturato, ma non si è mai arreso; nel 1985 ha guidato il Consiglio Nazionale dei Seringueiros, che è divenuto il soggetto politico e sindacale che portò le lotte dei contadini e delle popolazioni indigene dell’Amazzonia all’attenzione dei media internazionali con le sue tesi “In difesa del popolo della foresta”. Ha poi lavorato alla creazione di una “riserva estrattiva” di caucciù espropriata ai latifondisti della famiglia Alves da Silva che l’aveva illegalmente acquisita. Furono loro i mandanti dell’assassinio.
Il volto di Alexander Langer, attivista, politico, fondatore dei verdi italiani e parlamentare europeo. È morto volontariamente nel 1995, a 49 anni, per i troppi pesi e sfinito dal troppo amore per i prossimi, anche quelli delle generazioni future. Impegnato per la convivenza interetnica a partire dal suo Sudtirolo/Alto Adige fino alla Bosnia nella quale si è speso per iniziative e soluzioni di pace contro la guerra nella ex-Jugoslavia. Promotore della “Fiera delle utopie concrete”, della “Carovana europea di pace” da Trieste a Sarajevo, dell’appello “L’Europa muore o rinasce a Sarajevo”. Ha tessuto i fili di tante reti ambientaliste, “i Colloqui di Dobbiaco”, “L’Alleanza per il clima”, “S.O.S. Dolomites”, il “Comitato promotore di un Tribunale internazionale per l’ambiente”.
*Ripubblichiamo questo articolo apparso sul sito www.azionenonviolenta.it
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