Una delle affermazioni che ogni tanto ricorrono nelle sedi più varie, dai discorsi con gli amici fino agli articoli di giornale ma anche in ponderosi libri di filosofia, suona più o meno cosi’ ‘..I cristiani non accettano l’idea di caso..’ sottintendendo che, chi accetta un Padre Creatore (..di tutte le cose visibili ed invisibili …come recita il Credo e spesso non facciamo attenzione alle invisibili per concentrarci troppo sulle visibili..) abbia delle difficoltà ad usare come principio esplicativo la casualità.

Questa posizione ha delle conseguenze che vanno ben al di là dell’ambito scientifico o di questioni filosofiche come l’evoluzione o il nostro posto nel mondo, influenzando in maniera anche drammatica la nostra vita quando cerchiamo di risalire a cosa abbia causato una certa malattia a noi od a un nostro caro a volte colpevolizzandoci e soffrendo molto, oppure chiedendoci senza posa dove abbiamo sbagliato quando un figlio non si adatta ai nostri schemi immaginati di comportamento. Senza alcuna folle pretesa di rispondere a questi quesiti, credo che possa essere utile, da parte di chi come me di caso e probabilità se ne occupa tutti i giorni per lavoro, almeno provare a chiarire alcuni punti sulla faccenda. Se non altro servirà a capire come la scienza tratta con il concetto di caso e con quello limitrofo di probabilità.

Intanto notiamo come il fondatore del calcolo delle probabilità e quindi del modo in cui ci poniamo in modo razionale di fronte a ciò che è inatteso ed insicuro è quello che per me è il più grande pensatore cristiano dell’ era moderna e cioè Blaise Pascal (di cui non mi stancherò mai di consigliare la lettura dei Pensieri). Chiaramente questo già ci fa capire che la frase iniziale sui cristiani ed il caso è quanto meno da riformulare. Il punto importante da capire è che la scienza (e quindi anche nozioni scientifiche come caso e probabilità) si occupa, come tutte le attività umane, di ciò che noi sappiamo delle cose e non delle cose in sé. Questo è un punto importantissimo ed ha a che vedere anche con quel ‘visibili ed invisibili’ del Credo. Duecento anni fa non si sapeva nulla dei batteri e del loro ruolo nello sviluppo delle malattie, erano cioè invisibili, e chi avesse detto che la polmonite era causata da un ‘piccolo organismo invisibile’ avrebbe magari avuto ragione ma non avrebbe fatto un discorso scientifico. La nostra capacità di ‘vedere’ si è molto sviluppata nei secoli sia verso la direzione (per usare la terminologia di Pascal) ‘del grande infinito’ (telescopi ottici , radiotelescopi…) che del ‘piccolo infinito’ (microscopi elettronici, microscopi a forza atomica..), cose prima invisibili (e quindi considerate inesistenti) si sono rese visibili. La nostra vista è comunque ancora paurosamente limitata sia nello spazio che nel tempo: non possiamo ‘vedere’ i movimenti di una singola molecola proteica nel solvente, oppure apprezzare dinamiche lentissime di maturazione stellare, ma neanche abbiamo una minima idea di come appare un campo elettrostatico ad una singola cellula anche se ne vediamo gli effetti. Gran parte delle cose di natura o non le percepiamo affatto (e queste neanche possiamo dire quante siano ovviamente) o, quando le percepiamo, le percepiamo in maniera indiretta allo stesso modo di come percepiamo il vento dallo stormire delle fronde : il vento è qualcosa di diverso dalle fronde che si muovono ma noi possiamo solo ‘vederlo’ cosi’. Tutto il nostro universo percepibile è quindi qualcosa che noi avvertiamo per echi, rimandi, segni indiretti. Ciò fa sì che tutto sia affetto da incertezza, e  tutte le nostre affermazione siano probabilistiche: la probabilità non è altro che una misura (anch’essa approssimata) della nostra ignoranza. Considerare il carattere probabilistico delle nostre asserzioni, e quindi che ciò che, per quel che riguarda l’orizzonte scientifico, possiamo solo chiamare caso (corrispondente a tutto ciò che non conosciamo, cioè a quasi tutto) sia alla base di gran parte delle nostre osservazioni non è affatto una forma di ateismo, è semplicemente l’umile e doverosa ammissione di ignoranza di chi si sente inadeguato a comprendere totalmente il mondo. Ma non comprendere totalmente il mondo non è sinonimo di non comprenderlo affatto né tantomeno di non cercare di capirne sempre di più. Per fare ciò ci serviamo della statistica, partendo dall’idea che osservando molte volte degli accadimenti simili dovremmo prima poi o scorgere delle regolarità e delle ricorrenze.

L’osservazione alla base di qualsiasi metodo statistico è quella che in un fenomeno collettivo, coinvolgente un numero molto grande di elementi singoli, anche se ciascuno degli elementi che lo compongono è singolarmente impredicibile e stocastico (la parola viene dal termine inglese stokes, i dadi da gioco) gli andamenti generali di una popolazione molto grande mostreranno invece delle regolarità. Questo chiaramente implica uno scollamento molto forte tra il comportamento della popolazione e quello del singolo elemento che la compone. A prima vista questo ci può sembrare paradossale ma in realtà segue da un ragionamento naturale che usiamo nella vita di tutti i giorni.

Immaginiamo di osservare le dinamiche del traffico su un’ arteria che porta ad una grande città, ad esempio la A24 che porta a Roma ogni giorno migliaia e migliaia di macchine dall’estesa periferia orientale e dai paesi del Lazio e dell’ Abruzzo. Possiamo essere praticamente sicuri, in modo quasi deterministico, che, in un giorno feriale, la mattina tra le otto e mezza e le nove, le corsie della A24 in ingresso a Roma dal raccordo anulare verso il centro saranno afflitte da un traffico intensissimo (se non completamente bloccato) e sicuramente molto superiore a quello osservabile alle tre del mattino. Questa sicurezza, suffragata dalle osservazioni, viene spiegata da considerazioni legate alla presenza di molti luoghi di lavoro nelle zone centrali di Roma (ministeri, scuole, uffici vari, negozi) rispetto alla periferia e alla provincia. Sicuramente a nessuno verrà in testa di cercare di spiegare il flusso con le motivazioni personali e contingenti dei singoli automobilisti; se il signor Trezzini di Vicovaro quella mattina si è svegliato con una forte influenza e decide di non andare a Roma al lavoro (e quindi si esclude dal flusso, dal fenomeno collettivo),  sarà sostituito sulla terribile A24 dalla signora Di Domenico che deve scendere da Tivoli a Roma perché il giorno prima è stata avvertita dal Policlinico Umberto I che si è liberato un posto per l’intervento programmato da mesi. Queste contingenze sono assolutamente irrilevanti per ciò che riguarda la consistenza e la natura del flusso e quindi non costituiscono un livello interessante per il suo studio,  le periodicità del traffico rimarranno esattamente le stesse vanificando il nostro rincorrere le singole motivazioni. Se fossimo dei filosofi di trecento anni fa ci chiederemmo ‘Potrebbe un’intelligenza assoluta, dotata di tutte le informazioni possibili, prevedere esattamente il flusso di autovetture sulla A24 in un preciso istante di tempo sulla base delle motivazioni di ogni singolo automobilista ?’ I filosofi un tempo davano grande importanza a queste cose che a noi sembrano un pochino buffe in quanto erano influenzati da una visione deterministica della scienza di impostazione Newtoniana, noi sappiamo che questa domanda non solo non ammette risposta ma che esistono modi molto più semplici che entrare nelle motivazioni di ciascun automobilista per rispondere al quesito (..e Pascal l’aveva capito un secolo prima dell’ Illuminismo, indicando il calcolo delle probabilità e non le equazioni differenziali come il punto massimo del nostro pensiero razionale, purtroppo la scienza prese a figura mito un alchimista come Newton piuttosto che il filosofo francese..ma questa è un’altra storia). Il nostro esempio dell’autostrada ci consente di comprendere come mai il nostro libero arbitrio, la nostra unicità di persone, sia salva nonostante qualsiasi scoperta scientifica. Quante volte ci siamo soffermati con la nostra fidanzata  in quei meravigliosi ed oziosi discorsi fra innamorati in cui si considera che evento meraviglioso ed unico sia essersi incontrati ed innamorati (io e mia moglie ci siamo fidanzati venti anni fa,  ed ancora li facciamo anche se le figlie ci canzonano). A ben guardare, ogni singolo incontro ha probabilità pari praticamente a zero. Basterebbe che un singolo anello di una lunghissima catena di eventi che va dal fatto che un mio antenato, forse di origine Picena (la mia famiglia viene dalle Marche) tremila anni fa abbia incontrato proprio quella etrusca carinissima che suo zio conosceva in quanto…..fino alla decisione presa pochi mesi prima di prendere l’autobus invece dell’ automobile….Lo stesso vale per l’altro partner con una eguale combinazione praticamente irripetibile di eventi contingenti. Cosa significa tutto questo ? Semplicemente che la scienza non ha nulla da dire sui casi singoli in quanto per definizione irripetibili in tutti i loro particolari, ma allora ? Allora basta sfuocare un pochino la lente e passare a qualche cosa di più vago, ad una categoria collettiva per cui si possono fare delle statistiche e, in maniera molto meno romantica, chiedersi ‘Con che probabilità un ragazzo ed una ragazza entrambi abitanti a Roma, che poi si sposeranno, si sono incontrati in un giorno di Marzo del 1988 ?’ Bè, qui il problema è trattabile e, con un po’ di domande ad un campione abbastanza grande di coppie sposate possiamo pensare di arrivare ad una soluzione anche molto precisa, Bruna e Alessandro in questo procedimento hanno dissolto l’unicità della loro storia e solo a questo prezzo la domanda è diventata affrontabile in modo scientifico, tutto quello che si riferiva esattamente a loro rifuggiva da ogni discorso quantitativo, riformulata in termini collettivi la domanda ammette ora una risposta. La scienza quindi può solo raccontarci di categorie, mai di casi singoli, o meglio i casi singoli debbono essere osservati da una certa distanza, ed è solo da questa distanza che assumono un andamento regolare e riproducibile. Possiamo sapere a priori a quale distanza porci per osservare un fenomeno e scoprirne le regolarità ? La risposta è sì, per capirlo immaginiamo di fare un esperimento simulato: costruiamo un grafico che abbia nell’asse delle ascisse ) l’asse orizzontale o delle X) dei valori che vanno da -35 a +35, in corrispondenza di ogni valore della X calcoliamo una Y (valore delle ordinate, asse verticale) secondo la formula : Y = X + N(0,7) (1). Otterremo una figura come quella qui di seguito:

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La formula (1) ci dice che il valore di Y è uguale a quello della X sommato ad un ‘rumore casuale’ (che possiamo immaginare come un errore di misura o qualsiasi altro evento di disturbo) descritto dal termine N(0,7) che rappresenta un’ estrazione casuale (come prendere una pallina da un’urna) da una distribuzione di numeri con media 0 e deviazione standard 7 (deviazione standard 7 vuol dire che due estrazioni prese a caso in media differiranno di un valore pari a 7). Il pannello A) ci dice quello che effettivamente ci aspettavamo (la risposta è giusta) e cioè che la Y e la X sono correlate, a valori grandi della X (a destra nel grafico) corrispondono valori elevati della Y (in alto) e viceversa per valori piccoli. Il legame tra X ed Y non è deterministico (lo sarebbe stato se mi fossi limitato a pretendere Y = X) per cui i punti non si dispongono esattamente su una linea diagonale nel grafico ma mostrano una certa variabilità attorno a questa linea dovuta al termine stocastico (estrazioni casuali) N (0,7). Comunque la correlazione è molto forte ( r = 0.82, il massimo sarebbe r =1) e quindi, se X ed Y fossero stati i risultati di un esperimento saremmo autorizzati a dire che Y dipende dalla X (con una certa approssimazione). Passiamo ora al pannello B) che non è altro che un ingrandimento del pannello A) focalizzandoci (stringendo la lente) in una zona più piccola del grafico (tra -5 e +5) che è comunque l’area più popolata (l’ 80% delle osservazioni cade in questo intervallo). Qui le cose cambiano bruscamente, il legane fra le due variabili crolla da 0.82 a 0.27, questo legame non è più significativo, se la X e la Y fossero state due misure sperimentali avremmo detto (a torto ma in maniera matematicamente ineccepibile) che la Y non dipende dalla X.

Questo vuol dire semplicemente che la distanza corretta a cui guardare il fenomeno era quella del pannello A), mentre nel pannello B) ci siamo avvicinati troppo e non riusciamo più a scorgere il legame esistente fra le due misure che è ‘sepolto’ dal rumore casuale.

Caspita, ma allora non è vero che più andiamo verso il microscopico (avvicinarsi di più) più andiamo verso le cause fondamentali e capiamo cosa c’è veramente ? Certo che non è vero (con buona pace di chi dice che noi siamo uguali ai gorilla perché abbiamo il 95% del materiale genetico in comune, questo vuol dire semplicemente che le sequenze di DNA non sono situate ad una distanza corretta per capire le differenze che esistono tra noi ed i gorilla, allo stesso modo, andando ancora più a fondo potrei dire che l’abbondanza relativa delle specie atomiche fra me ed il ficus che ho sul pianerottolo è talmente uguale da rendere scientificamente dimostrato che io ed il ficus siamo la stessa cosa e chi dice il contrario è un maledetto oscurantista antiscientifico…) e questo è qualcosa che molti scienziati di fama ancora non comprendono, affascinati ed imbambolati da ‘teorie del tutto’ o grandi sistemazioni del mondo.

Insomma è come con un quadro, se ci avviciniamo troppo non vediamo niente, cosi’ come se ci allontaniamo troppo, la giusta visuale ci consente di apprezzare il dipinto, il mestiere dello scienziato (bellissimo e necessario) è quello di trovare la giusta visuale da cui osservare il mondo e così costruire la sua opera.

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