Prova ne è l’eterogeneità delle posizioni all’interno degli schieramenti con esponenti del centro-destra contrari alla riforma ed esponenti del centro sinistra favorevoli. Considerare l’eventuale successo di una posizione o di un’altra come prova della vittoria di una parte politica sarebbe una sciocchezza oltre che una speculazione su un problema molto delicato.
Da “cinico” economista voglio osservare solo due cose. Primo, la nostra coscienza sempre più “ecologista” e sensibile alla vita sembra cadere in palese contraddizione quando si parla di aborto. La convenzione di Washington applicata anche in Italia stabilisce che se ci trovano all’aeroporto con un guscio di tartaruga siamo passibili di serie sanzioni pecuniarie mentre è possibile abortire il feto dopo il terzo mese in caso di problemi di salute “psichica” della donna.
Difficile sostenere nella civiltà della scienza e delle immagini nella quale possiamo ricostruire e filmare perfettamente tutta la crescita del concepito prima del parto che, dopo il terzo mese (ma anche prima), il feto sia un ammasso di cellule (non sarà come minimo biodiversità da tutelare !). Con le ecografie l’idea che la vita inizi prima dell’uscita dal ventre materno pare un fatto assolutamente assodato e persino patrimonio comune delle pubblicità.
Tornando alla tartaruga perché non posso dichiarare alla dogana aeroportuale che quel guscio è fondamentale per la mia salute psichica ? E la salute psichica è una motivazione per sopprimere vita altrui (potrà al massimo essere un’attenuante in caso di delitti tra adulti o una causa per la quale un figlio può essere tolto ai genitori e assegnato ai servizi sociali) ? Siamo sicuri che la salute psichica di una donna migliora dopo un aborto ?
E parto da qui per ricollegarmi al secondo punto. Un’osservazione cinica da economista nota che esiste un mancato collegamento tra domanda ed offerta. Da una parte chi non si sente in grado di portare a termine una gravidanza. Dall’altra moltissime coppie che non riescono ad avere figli e che si perdono nei meandri delle pratiche di adozione nazionale ed internazionale non per loro carenze psicoattitudinali ma per problemi burocratici e per la lentezza dell’iter. Un mio collega svedese sposato con un’americana mi ha raccontato di aver adottato sua figlia, ora sedicenne, prima che essa nascesse e addirittura, dopo essere stato avvisato dai servizi sociali della possibilità di adozione, di aver potuto conoscere la madre della bambina ancora incinta. Altri mondi altre culture e forse alcune esasperazioni, ma non esisteva anche da noi la ruota fuori dai conventi ?
Rifacendosi a questo esempio non potrebbe essere possibile in un paese civile offrire alla donna sul punto di abortire la possibilità di dare il proprio figlio in adozione una volta nato ? Ovviamente mantenendo rigorosamente il processo del tutto anonimo e punendo ogni tentativo tra futuro adottante e donna partoriente di realizzare un accordo del genere in cambio di denaro.
Primariamente però, ed è questa la strada maestra, bisogna fare di tutto per favorire il “first best”, ovvero creare le condizioni, anche economiche, affinché la donna che ha intenzione di abortire possa essere indotta ad accettare il dono della nuova nascita. Se la natalità è un problema che ci affligge non si vede perché i famosi bonus bebè di cui si parla dovrebbero essere soltanto pagati ex post e non anche ex ante.