in altri termini, a quanto si apprende dagli studi pubblicati su Science e Cell, i due team di studiosi sarebbero riusciti a riprodurre cellule staminali pluripotenti – ovvero in grado di produrre a loro volta cellule differenti, quali cellule cardiache, epatiche e neurali – indotte a partire da cellule adulte, le quali pur non identiche sarebbero comunque sufficientemente simili alle cellule embrionali, tanto da poter far sperare in una loro utilizzazione a livello terapeutico.
Tutto ciò con due vantaggi: a livello etico, in quanto la produzione e di tali cellule non richiederebbe l’utilizzo di embrioni, e dunque la soppressione di vite umane pienamente degne e meritevoli di protezione e tutela. A livello clinico, in quanto per ogni caso potrebbero essere utilizzate le cellule del paziente stesso, ovviando a gran parte dei problemi connessi con eventuali fenomeni di rigetto.
Il condizionale, è chiaro, è d’obbligo. La sperimentazione è ad una fase talmente iniziale che sarebbe alquanto prematuro (e semplicistico) esultare e salutare questa scoperta come la fine di ogni polemica sull’utilizzo delle staminali embrionali. Ad oggi, infatti, le staminali embrionali continuano ad essere molto più appetibili per l’industria farmaceutica, per la semplice ragione di essere infinitamente di più ed infinitamente più a buon mercato di ogni altro tipo di cellula staminale indotta a partire da cellule adulte.
Eppure, il rilievo di questa scoperta è d’altro tipo; ed è di tipo culturale, più che strettamente scientifico.
Questa scoperta, come le altre che, in modo simile, hanno dimostrato la possibilità di indurre la totipotenzialità in cellule adulte, o comunque in cellule non embrionali, dimostra l’immensa quantità di menzogne che ha circondato il dibattito sulla legge 40/2004, e che ancora inquina il dibattito bioetico; chi non ricorda i toni apocalittici con cui fior di scienziati accompagnavano la campagna referendaria, sostenendo che – salvo l’uso dell’embrione – nulla avrebbe consentito l’avanzamento della ricerca scientifica?
Chi non ricorda le affermazioni di luminari della scienza, secondo cui la cura di spaventose e tragiche malattie era legata unicamente all’uso degli embrioni, e che solo una cultura retrograda e oscurantista poteva impedire il progresso della scienza?
Beh, queste scoperte dimostrano proprio il contrario.
Dimostrano che la scienza, per fortuna, è migliore di tanti scienziati; che le strade del progresso biomedico non devono essere necessariamente configgenti con quelle dell’etica; che chi si oppone all’uso degli embrioni per la sperimentazione non si oppone alla scienza, ma solo ad una modalità particolare di ricerca, ad una tecnica tra le molte possibili.
Dimostrano, infine, che se si preclude agli scienziati una strada, perché la si ritiene configgente con la dignità ed il valore della persona, sarà sempre possibile percorrerne un’altra, ed arrivare agli stessi risultati. Magari ci vorrà più tempo, magari ci vorranno maggiori risorse, magari gi vorranno maggiori energie intellettuali, ma se questo permette di tenere insieme il progresso scientifico ed il rispetto della dignità della persona la scelta è obbligata.
Insomma, al di là della diretta applicabilità di queste scoperte, e dei tempi che saranno necessari per ritenere praticabile questa strada, un risultato è già raggiunto: l’atteggiamento apocalittico, per cui la scienza deve progredire sempre e comunque, a qualunque costo in termini di dignità della persona, pena la perdita di ogni speranza di cura per malattie gravi e fonti di grandi sofferenze, è in se stesso ideologico. La scienza, per fortuna, procede in ogni caso, attraverso vie che sta all’intelligenza umana scoprire; e non è detto, per l’appunto, che sia la via più semplice e apparentemente diretta. Ma in fondo, quando mai nella storia umana i risultati importanti si sono raggiunti in modo semplice e diretto?