Il “santo della porta accanto” è, secondo la visione di papa Bergoglio, l’anti-eroico portatore di un messaggio perennemente paradossale e contro-corrente, che tutti siamo chiamati ad annunciare e testimoniare. Una santità di lotta e discernimento, che chiede adesione alla storia e sguardo che la oltrepassa, fiducia negli uomini e nelle donne di buona volontà, e insieme consapevolezza che la santità è dono, eccedente e gratuito, da parte di Dio

Cinque capitoli e centosettantasette paragrafi per “far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità”, calandola e incarnandola nel contesto attuale. Così papa Francesco ha affrontato un tema cruciale della vita cristiana, e la ha fatto raccogliendo in una originale sintesi i fili di una riflessione plurisecolare, che attiene al rapporto tra i discepoli di Gesù e il mondo, per un verso, e la dimensione più radicale dell’annuncio per l’altro.

Già il titolo di questa che è la terza Esortazione apostolica di Bergoglio, contiene almeno in parte il nocciolo o meglio l’intenzionalità del messaggio papale. “Gaudete et exsultate” chiarisce sulla scorta di Mt 5,12 che l’invito alla santità è per sua essenza un invito alla gioia, “la felicità per la quale siamo stati creati” (GE 1). Ma di quale gioia si tratta? E’ qui che corre la linea di tensione tra la proposta evangelica – oggi e da sempre – e la logica mondana, è qui che, nello scorrere dei capitoli, si viene dipanando il tratto peculiare della via della santità secondo Francesco. Una peculiarità che si cercherà di analizzare o almeno illuminare in queste necessariamente sintetiche note di lettura.

Anzitutto, non ci troviamo di fronte ad untrattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni”. Così dichiara l’autore in apertura di testo. Ma anche qui bisogna intendersi e non cedere alla tentazione di interpretare questo “umile obiettivo” come rinuncia strategica alla complessità dottrinale. Piuttosto, al lettore si impone progressivamente una trattazione che procede induttivamente, dal basso, per così dire, di uno sguardo che rifugge dalle astrazioni o meglio da quelle che qui vengono definite “elucubrazioni”. Non si tratta di un pregiudizio anti-intellettualistico, ma di un metodo comunicativo coerente con l’idea di santità che si intende richiamare. Una santità ordinaria, incarnata nella quotidianità, nel piccolo ma decisivo gesto di testimonianza evangelica, anti-elitaria, realmente offerta a tutti.

Si staglia così nel discorso bergogliano il profilo delsanto della porta accanto”, che rifugge dallo spiritualismo autoreferenziale e dall’ambizione di una santità eroica. Nessun superomismo, insomma, in questa chiamata alla santità. Proprio per questo, essa può essere “di popolo”, vissuta comunitariamente, cioè ecclesialmente e sinodalmente, senza protagonismi riservati alle creature superiori. Per questo la santità non va confusa con la perfezione, ma piuttosto identificata in un cammino accidentato, che comprende cadute, fallimenti e fragilità. E proprio per questo, da ultimo, la santità non può essere disgiunta dalla misericordia e dalla grazia del Dio di Gesù Cristo.

La prospettiva incarnata, storica, realisticamente consapevole delle peripezie di una santità ordinaria non va tuttavia confusa con un’assenza di impianto teorico e di riferimenti concettuali. Come a dire che – come sempre in papa Bergoglio – la dottrina viene pastoralmente mediata e tradotta, richiamata alla semplicità che non esclude nessuno, e al contempo nulla di ciò che è essenziale ed evangelicamente radicale viene taciuto per annacquarla o banalizzarla.

Che si tratti di un impianto robusto lo si vede dall’articolazione dell’Esortazione. Avvertita e pedagogicamente efficace. Il primo capitolo enuncia il tema esemplificandolo negli uomini e nelle donne che nei vari tempi hanno fornito la prova, per così dire, che la via della santità è possibile, umanamente percorribile. Testimonianze utili “per stimolarci e per motivarci”, ma non per allontanarci dalla “via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi”. Qui cogliamo una polarità fondamentale in questa riflessione bergogliana. La dimensione della santità è, insieme, essenzialmente comunitaria e squisitamente personale. E’ espressione della nostra appartenenza al “popolo paziente” che, spesso nell’anonimato della vita quotidiana, soffre, persevera, spera, e manifestazione di quella missione che ognuno di noi è, in quanto portatore di un dono e di un messaggio di Dio al mondo, che nessuno può portare in vece nostra.

Il capitolo secondo è quello in cui papa Francesco entra più in dialogo serrato con la cultura contemporanea, individuandone due eresie di ritorno, che sono di ostacolo alla chiamata alla santità: il neo-gnosticismo e il neo-pelagianesimo. Da un lato, la deriva intellettualistica del cristianesimo, trasformato in una “enciclopedia di astrazioni”, dall’altro, la deriva volontaristica che esaltando lo sforzo personale dimentica l’azione decisiva di Dio nella nostra santificazione, ridotta alla vanagloria di una “realizzazione autoreferenziale” (GE 57). E’ attraverso questo snodo polemico, il quale sgombra il campo da ogni equivoco culturale e perfino dottrinale, che si fa strada il paradosso evangelico delle Beatitudini.

E’ qui, nel capitolo terzo, a nostro avviso, che papa Bergoglio tocca il punto più alto della sua “chiamata alla santità”. Sua, ovvero, cristiana ed evangelica. Le Beatitudini sono in questa collocazione un vero e proprio “manifesto” della santità dei discepoli del Signore. Rifuggendo da una loro interpretazione simbolica, evocativa e, in ultima analisi, evasiva, Francesco le ripropone come concrete, incarnate e umanamente possibili pratiche di un programma di santità. “Il Signore ci ha lasciato ben chiaro che la santità non si può capire né vivere prescindendo da queste sue esigenze” (GE 97).

Il cristianesimo fa risuonare nel mondo contemporaneo l’universale vocazione alla santità presentandosi come religione pratica, in seno alla quale si realizza tale chiamata agendo e operando, a fianco dei poveri anzitutto e degli ultimi. Non sfugga, in questo senso, il tema dei migranti, esplicitamente e significativamente affrontato al n.102, poco dopo aver richiamato “la grande regola di comportamento” di Mt 25, 31-46, quella che dichiara beati i misericordiosi.

L’architrave delle Beatitudini àncora la “Gaudete et exsultate” e la sua via della santità al paradosso del Vangelo “sine glossa “. E’ via paradossale, alla lettera: si va a scontrare con la doxa o logica dominante di questo tempo, e di tutti i tempi. La logica mondana che oggi si incarna nell’individualismo cieco, nelle ricerca spasmodica di una felicità disforica, nella chiusura aggressiva e difensiva agli altri e all’altro.

Lungi dall’astrazione spiritualistica o dall’ideologia religiosa, la santità si configura in questa Esortazione come modo di vivere le relazioni con gli uomini a partire dalla convinzione che a tutti è offerta, insieme alla salvezza, la vera felicità, che è pienezza di vita autentica, una possibile gioia che inserisce, tra gli effetti e gli strumenti della santità, perfino l’umorismo.

Si ha memoria di una perfetta letizia, quella del Santo di cui Francesco porta il nome, ma è decisamente un inedito questa elevazione dell’umorismo al rango di virtù “santa”. Qui veramente riconosciamo papa Bergoglio, la sua appassionata vicinanza a chi soffre e dunque la sua ardente ricerca di quello che, sull’esempio di Gesù Cristo, risana, libera e proclama la nostra libertà di figli di Dio.

Il “santo della porta accanto” è dunque, secondo questa visione di papa Bergoglio, anti-eroico portatore di un messaggio perennemente paradossale e contro-corrente, che tutti siamo chiamati ad annunciare e testimoniare. Una santità di lotta e discernimento, che chiede adesione alla storia e sguardo che la oltrepassa, fiducia negli uomini e nelle donne di buona volontà, e insieme consapevolezza che la santità è dono, eccedente e gratuito, da parte di Dio.                                           

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