“Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità». Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo” (GE n. 6).
Ho scelto di iniziare il mio editoriale citando un passo dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate – a cui dedichiamo il focus di questo mese – che ritengo molto significativo per l’esperienza associativa che vivono le Acli, ma anche per il tratto di storia che il nostro Paese sta attraversando.
In diverse occasioni le Acli hanno riflettuto sul loro essere popolari, sul significato profondo di questa scelta. Nel loro 49° Incontro nazionale di studi, “Passione popolare. La persona, le Acli, il popolo: la democrazia scritta e quella che scriveremo” (Roma 16-17 settembre 2016) hanno approfondito il tema del popolo anche sul piano ecclesiale e teologico, oltre che politico e sociale. Nel Manifesto preparatorio di questo appuntamento culturale le Acli osservano come “essere popolare significa stare in mezzo agli altri, frequentare gli stessi ambienti, sintonizzarsi con i linguaggi e le modalità espressive, utilizzare gli stessi mezzi di comunicazione. È il radicamento diffuso che rende prossimi e che insegna anche a interpretare e dare voce alle necessità. Essere popolari significa anche essere credibili, perché ci si mostra autentici e concreti, perché si sa raccontare una storia composta da idee, da realtà quotidiana e da tante biografie uniche e normali”.
Questa riflessione è molto in sintonia con le considerazioni che ho richiamato in apertura. Papa Francesco sottolinea con chiarezza che il cammino verso la santità non è mai un fatto individuale, ma comunitario, di popolo. Dio sceglie di entrare in una dinamica popolare per aiutare l’uomo a vivere l’esperienza della santità.
Questa esortazione apostolica rappresenta un grande dono per la Chiesa e per la nostra associazione, un invito forte a recuperare la bellezza e l’importanza della dimensione popolare iscritta nel DNA delle Acli.
A conferma di questo discorso voglio riprendere alcune pagine del libro “Ipotesi sulle Acli” (Cens, Cernusco sul Naviglio 1992) di un grande presidente delle Acli, Giovanni Bianchi, che ho avuto il dono di conoscere personalmente. L’autore prima di tutto opera una distinzione tra santo e sacro. “Cosa vuol dire un “popolo santo”? perché non parliamo di un “popolo sacro”? Anche questo è un nodo da sciogliere nel nostro cammino. La santità si colloca su un altro piano rispetto al tema del sacro. Sarebbe più corretto dire che lo interpreta, sconvolgendone il senso. Il sacro separa e, attraverso questa separazione, comunica. Il santo unisce e comunica attraverso questa unione” (p. 225-226).
Bianchi propone successivamente una riflessione, estremamente attuale, sulle Acli come esperienza di popolo che cammina sulle strade della santità.
“Tutto questo, e le passioni che suscita, si inquadra in questa nuova tappa del cammino aclista, cammino di popolo — le Acli in quanto popolo —, di una organizzazione popolare chiamata, per vocazione, a restare popolare, a confrontarsi con i padri fondatori, il cui compito fu più facile, tutto sommato, del nostro, chiamati invece a riconvertire e a riconvertirci.
Un popolo. Di un popolo fan parte i coraggiosi e i pavidi, i disponibili al martirio e gli accomodanti tartufi, le donne incinte e — direbbe il sommo Boccaccio — “gli uomini meccanici”… Non chiuso in sè, capace di camminare e anche dialetticamente confrontarsi al suo interno. Aperto agli altri, spalancato ai lontani come si conviene ad una associazione “di frontiera”. Che non cerca ginnastiche spirituali, ma tenta una riflessione spirituale sulla propria storia e la propria quotidianità. Capace di intendere la profonda intuizione di Chenu, per il quale non c’è soltanto una cattolicità della Chiesa rispetto ai luoghi — geografica —, ma anche una cattolicità rispetto al tempo, capace cioè di riannodare le diverse stagioni ed epoche ed i rispettivi protagonisti. Intendo così il ritorno alle origini e il confronto con i padri fondatori, il chiederci umilmente e con inquietudine che cosa farebbe Achille Grandi oggi…
La risposta è già data: l’hanno data i molti “santi minori” che hanno caratterizzato la nostra esperienza in questi decenni. Vanno riscoperti, riletti, riascoltati, oltre l’occasione delle molte storie provinciali che il quarantennio ha prodotto. Essi hanno lasciato tracce, talvolta evidenti; con essi, è possibile il “dialogo e la comunicazione celeste”, cui faceva riferimento il cardinal Martini. Con essi per noi si dà dunque una “intensa conversazione”, per essa partecipiamo della vita della Chiesa in nome di quella cattolicità relativa ai tempi che Chenu ha richiamato alla meditazione dei credenti” (p.234-235).
E sono forse questa “santità di popolo” e questa “cattolicità relativa ai tempi” che possono ispirare il modo di stare da cristiani e da aclisti dentro il travaglio della società italiana, che fatica a ritrovare un senso di comunità e ad individuare un progetto futuro nell’orizzonte della comune umanita’…
Veniamo ai contributi proposti. Iniziamo con Mons. Angelo De Donatis (Vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma), osserva come “le beatitudini non sono un semplice insegnamento di Gesù, ma veramente sono il codice di sanità del battezzato: chi è rinato in Cristo è così, o meglio è reso così dallo Spirito. (…) Gesù è beato non per un privilegio ma perché è tutto nel Padre, come un figlio portato in braccio. Il santo è il beato, e il beato non è altri che un figlio. La scala della santità inizia dallo scoprirsi figli: ci vuole una vita intera, tutta la vita, ma non è un cammino improvvisato, casuale”.
Maria Grazia Fasoli (Docente incaricata “ad annum” presso la Pontificia Facoltà Teologica del “Marianum”) nota come “il santo della porta accanto è, secondo la visione di papa Bergoglio, anti-eroico portatore di un messaggio perennemente paradossale e contro-corrente, che tutti siamo chiamati ad annunciare e testimoniare. Una santità di lotta e discernimento, che chiede adesione alla storia e sguardo che la oltrepassa, fiducia negli uomini e nelle donne di buona volontà, e insieme consapevolezza che la santità è dono, eccedente e gratuito, da parte di Dio”.
Marco Bonarini (Dipartimento Terzo Settore delle Acli nazionali ed esperto di Bibbia) osserva che “Dio cammina con il suo popolo e noi siamo chiamati a fare parte di questo popolo, di stare in mezzo al popolo, perché è questa relazione che ci fa santi, capaci di sopportazione, pazienza, mitezza, gioia, senso dell’umorismo, audacia (parresia), fervore, di stare in comunità e in preghiera costante. E’ nella vita comune che ci aiutiamo a vicenda a essere santi, separati dal male e pieni di carità, così come è il Signore che ci ama”.
Enzo Bianchi (Fondatore della Comunità di Bose) sottolinea come “la santità deve essere cercata nella vita quotidiana, non ispirata a modelli ideali, astratti, sovraumani e raccontata come perfezione raggiunta. Ognuno ha una propria strada per la santità, strada tracciata dal Signore e che può essere percorsa anche in mezzo a imperfezioni e cadute, ma strada illuminata e fatta percorrere dalla grazia del Signore”.
Giuseppe Notarstefano (Vicepresidente per il Settore Adulti dell’Azione Cattolica Italiana) afferma: “Papa Francesco ci regala ancora una volta un documento straordinario, l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, un testo per incoraggiare ogni credente a guardare con gioia alla bellezza della vita cristiana, del Vangelo vissuto nella sua dimensione profonda di immersione nella concretezza dell’incontro quotidiano con il Signore che è fatto di preghiera, di ascolto della Parola, di Eucarestia, di amore per il prossimo e di fedeltà alla vita, luogo teologico e spazio privilegiato di testimonianza e di annuncio”
Claudio Gentili (Direttore della rivista “La Società” della Fondazione “Giuseppe Toniolo” di Verona) sostiene che “la santità sociale è una santità dell’imperfezione, della gradualità, del passo dopo passo, del fare prima di annunciare, del portare a casa risultati possibili piuttosto che vendere illusioni e poi far marcia indietro. La santità sociale è accompagnata spesso dall’insuccesso politico perché non illude e non inganna, non è impopolare ma è im-populista…”
Maria Rita Falco (religiosa appartenente all’Istituto delle Figlie di N. S. della Misericordia) osserva come “uno sguardo accogliente e pieno di stupore su noi stessi, sulla realtà e sugli altri, senza particolari aspettative o giudizi, se non quello di comprendere, è l’atteggiamento necessario per scoprire e vivere la santità del quotidiano e contribuire a svelare la bellezza seminata nel mondo dal Creatore (…). Accoglienza e stupore credo costituiscano l’atteggiamento fondamentale in ogni educatore, che non impone norme esteriori, ma propone cammini, anche impegnativi, per una vita buona alla ricerca del bene“.
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