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Nel tempo che stiamo vivendo, segnato dal dominio quasi indiscusso delle agenzie di rating, va accolta con favore la proposta di Antonello Montante, delegato nazionale Confindustria per la legalità. Montante propone infatti di inserire l’impegno antimafia delle imprese tra i criteri con cui le banche misurano la capacità di un’azienda di restituire un prestito.

Il “rating di legalità” dovrebbe facilitare l’accesso al credito delle aziende virtuose, permettere di ottenere in automatico le anticipazioni sulle commesse, così da poter pagare i fornitori, e lanciare un forte segnale etico al mondo e alle istituzioni economiche. La proposta è importante perché, intervenendo su un punto fondamentale del rapporto tra mafia e aziende, pone finalmente al centro il tema della convenienza della legalità. Tema che può apparire tacciabile di cinico economicismo rispetto al più alto imperativo etico dell’impegno e della testimonianza della legalità, ma che al contrario ne rappresenta un importante e ineludibile supporto. In alcune aree del Sud, l’insufficiente esercizio del potere coercitivo dello Stato e i vari deficit delle istituzioni locali nella fornitura di beni e servizi pubblici, non favoriscono regole di condotta virtuose, producendo un sistema di illegalità diffusa che genera sfiducia e incertezza – con conseguente aumento del rischio per gli operatori economici. Occorre prendere atto che il principale fattore di condizionamento dello sviluppo è la concorrenza sleale operata da imprese mafiose o colluse che – operando con pratiche corruttive o di intimidazione (o con entrambe) – negano l’applicazione del principio cardine dell’economia di mercato: la libera concorrenza. In particolare, in questo quadro, diventano decisivi il condizionamento degli appalti pubblici e, tema su cui insiste la proposta di Montante, l’accesso asimmetrico ai capitali. La mafia, avvalendosi delle grandi risorse finanziarie accumulate grazie ad atti illeciti, opera come un’impresa avvalendosi di due enormi vantaggi competitivi: non ha limiti nelle risorse finanziarie di cui dispone e può esercitare sempre il ricatto della violenza nei confronti degli altri e degli amministratori. In questo modo essa altera il funzionamento della libera concorrenza, e accade che imprenditori onesti vengano eliminati dalla competizione attraverso attentati, estorsioni, esclusione dai mercati e dagli appalti più redditizi. Occorre evitare che imprenditori onesti, indeboliti dalla crisi di liquidità, bussino invano alle porte delle banche e vengano eliminati dai mercati e dagli appalti, facendo vincere i peggiori: quelli che possono contare sulla liquidità dell’economia criminale ma che non innescano processi virtuosi di crescita e sviluppo, alimentando illegalità e lavoro nero piuttosto che sviluppo. Il mercato del lavoro informale e irregolare si sta drammaticamente ampliando nelle regioni del Sud in conseguenza di una crisi che proprio nel Mezzogiorno è stata ancora più pesante, alimentando oltre a nuova disoccupazione una crescita forte dell’area dell’inattività (sia nel mercato del lavoro sia nella formazione), soprattutto tra i giovani.
Agire sul piano etico, dell’esempio morale, è servito a scuotere la coscienza dei meridionali. La legalità come prerequisito per lo sviluppo è una consapevolezza diffusa in settori sempre più ampi della società meridionale, a dispetto della vecchia retorica mafiologica sull’assenza dello Stato. Ma del resto, non si può chiedere ad una popolazione intera di vivere continuamente nell’indignazione morale. Non si può chiedere ai meridionali, che versano in difficoltà economiche e disagi sociali, solo atti di eroismo. Non serve chiederlo, se le “convenienze relative” all’illegalità, se non alla connivenza con le mafie, sono maggiori. E allora occorre cambiare ottica: rendere “conveniente” la scelta della legalità. E su questa strada, con coraggio, si colloca la proposta di Montante.

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