Le politiche sulle commissioni di entrata e di uscita sono fondamentali per i fondi d’investimento. Perché non possiamo usarle per salvare il nostro paese? Secondo uno studio econometrico in fase di realizzazione con Nicola Ciampoli presso l’università di Tor Vergata, negli ultimi sedici anni i volumi di derivati OTC hanno avuto un impatto causale negativo sul credito delle banche alle imprese. È esattamente la preoccupazione di Mario Draghi che, nel momento in cui facilita la concessione di liquidità alle banche, si domanda se le stesse la useranno per fare prestiti alle imprese o per operazioni di trading sui derivati. I derivati possono avere effetti positivi sullo sviluppo se tenuti in portafoglio e usati per assicurarsi contro il rischio. Proprio una tassa sulle transazioni può favorire questo tipo di uso rispetto a quello più rischioso e speculativo che si traduce in centinaia di acquisti automatizzati giornalieri. Gettare sabbia negli ingranaggi della speculazione serve e come. Se gli americani non avessero eliminato tutti i costi di transazione nella compravendita di case, non si sarebbe arrivati a un quarto del totale degli acquisti per moventi puramente speculativi e più difficilmente sarebbe scoppiata la bolla immobiliare che ha causato la crisi finanziaria mondiale. È grazie a quella sabbia negli ingranaggi che oggi la casa è ancora un bene rifugio in Italia mentre non lo sarà mai più negli Stati Uniti.
Sapete quanti anni deve lavorare un professore di liceo per mettere assieme la somma guadagnata dall’amministratore delegato della Lehman Brothers l’anno prima che la stessa fallisse causando la deflagrazione della crisi finanziaria globale? La cifra incredibile è 4500 anni e quindi per poter arrivare a quella cifra il nostro insegnante avrebbe dovuto iniziare a lavorare dai tempi dei Sumeri. È questa una delle battute più fulminanti di un bel monologo teatrale sulla crisi finanziaria “Pop Economy” che sta facendo il giro dell’Italia. Si cerca sempre di giustificare differenze di reddito sulla base di differenze di produttività. Quali meriti superiori in termini di contributo alla società vanta il primo per essersi meritato una tale differenza di trattamento?
È sempre più evidente a tutti che un pezzo di finanza si è trasformato in un’incredibile "money machine" che va per conto proprio. Ma in quale civiltà viviamo se consideriamo equo togliere dei soldi ad un pensionato che prende 1000 euro al mese mentre non possiamo toccare la “money machine” tassando le transazioni finanziarie? Non è un caso dunque che la posizione degli economisti e della società civile (a maggioranza favorevole nell’UE) nei confronti della tassa sulle transazioni finanziarie sia cambiata nel corso degli ultimi anni.
Due i principali motivi di questo cambiamento di opinione: gli eventi della crisi finanziaria globale e la maggiore evidenza in materia che ha aiutato a superare alcuni pregiudizi.
Con la crisi finanziaria globale i debiti pubblici di alcuni dei principali paesi occidentali sono significativamente aumentati per le operazioni di salvataggio degli intermediari in crisi (o per gli effetti indiretti della crisi) diventando il nuovo obiettivo di attacchi speculativi. Una parte del mondo finanziario ha così privatizzato i profitti, socializzato le perdite e utilizzato i fondi pubblici destinati al proprio salvataggio per scommettere contro gli stessi salvatori. È quanto meno comprensibile quindi che la maggioranza dell’opinione pubblica sia dell’avviso che chi opera sui mercati finanziari debba contribuire a pagare i costi di questa crisi, per ora ridossati sulle fasce più deboli.
Il secondo motivo dell’aumentato favore della tassa nasce dal superamento di un pregiudizio. Sino a poco tempo fa si è ritenuto che essa non fosse applicabile se non a livello globale pena la fuga di capitali dal paese che decidesse di applicarla. Questo pregiudizio appare infondato perché esistono ad oggi, come documenta un lavoro di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ben 23 paesi che applicano unilateralmente la tassa (nient’altro che un fissato bollato) senza che si sia verificata una massiccia fuga di capitali (Matheson T., Taxing Financial Transactions. Issues and Evidence, IMF Working Paper n. 11/54, marzo 2011, 8). Il paese con la tassa più alta è il Regno Unito che applica la Duty Stamp Tax su un solo tipo di attività finanziaria (tassa del 5 per mille sui possessori di azioni quotate alla borsa di Londra). La tassa consente di raccogliere circa 5 miliardi di sterline all’anno. Per via di quest’evidenza la proposta franco-tedesca fatta propria da Barroso di introduzione della tassa a livello UE parla correttamente di “armonizzazione” a livello europeo delle tasse sulle transazioni finanziarie e non di loro introduzione. Ma sappiamo che il governo Berlusconi era contrario a questa proposta.
Proprio la tassa londinese ha generato un interessante esempio di elusione: per non pagare la tassa una parte degli operatori sono usciti dal mercato azionario per costituire nuovi derivati OTC (contracts for differences) che consistono in scommesse sulle variazioni di prezzo delle azioni. Interessante dunque notare che la tassa ha separato in due diversi mercati gli interessati ad investire realmente nei titoli azionari delle imprese e gli operatori che giocano sulle variazioni a breve dei prezzi. Questo tipo di elusione è già implicitamente considerata nella proposta Barroso che estende la tassazione ai derivati (e quindi anche ai contracts for differences). Essa può essere altresì contrastata proibendo i contract for differences come avviene su un mercato non secondario come quello degli Stati Uniti.
Ancora sul piano scientifico, esistono numerosi lavori che misurano l’elasticità dei volumi di transazioni all’introduzione di tasse simili evidenziando coefficienti piuttosto contenuti e non tali da avvalorare l’ipotesi di fuga dei capitali.
Un’altra obiezione che appare infondata è quella dell’impatto della tassa sul costo del capitale. Per l’aliquota fissata dalla proposta Barroso i calcoli fondati sui modelli di capitalizzazione dei valori futuri attesi degli asset dimostrano che questo costo è pressoché nullo. È vero invece che la tassa potrebbe bloccare quel fenomeno di spiazzamento che spinge oggi le istituzioni finanziarie a preferire il trading sui derivati al credito alla clientela. La stessa banca centrale europea quando aumenta l’offerta di moneta si interroga se la stessa sarà utilizzata per aumentare i prestiti alle imprese o invece per aumentare il volume di scommesse speculative.
Altra obiezione: la tassa diminuisce la liquidità dei mercati. Questa tesi è opinabile. Di quanta liquidità abbiamo bisogno? Dean Baker in un suo commento sul tema dice che la tassa ci riporterebbe ai costi di transazione e alla liquidità di dieci anni fa, ovvero ad un periodo più florido di quello che stiamo vivendo. La verità è che non esiste nessuna evidenza certa sugli effetti della tassa sulla liquidità ma solo una serie di diversi modelli che trovano risultati opposti a seconda del tipo di microstruttura dei mercati finanziari e del modello di competizione ipotizzato tra gli intermediari.
Riassumendo le principali obiezioni all’istituzione della tassa (non si può imporre se non a livello globale, non ci sarebbe gettito per la fuga dei capitali, la tassa aumenta significativamente il costo del capitale, la tassa riduce la liquidità dei mercati) sono false per l’evidenza dei fatti (le prime due) o infondate per mancanza di prove (le seconde due).
Dunque la tassa sulle transazioni, pur non essendo la panacea di tutti i mali, può rappresentare una tappa importante in quel riequilibrio dei rapporti tra istituzioni e finanza.