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Alla vigilia del vertice del G20 di Pittsburgh torna alla ribalta la Tobin tax. La tassa sulle transazioni finanziarie internazionali, i cui proventi sarebbero destinati a finanziare l’inclusione del miliardo di “incagliati” che vivono in condizioni di povertà estrema, è stata proposta da francesi e tedeschi ma verrà presumibilmente rigettata per l’opposizione di inglesi ed americani.

E’ la prima volta che la tassa raccoglie un sostegno così ampio a livello di istituzioni e non a caso. La crisi globale originata dalla finanza ha portato sotto la soglia di povertà qualche centinaio di milioni di poveri in più. I prezzi delle materie prime, alimentari e non, sono ostaggio di operazioni di trading su derivati con conseguenze molto serie sull’economia reale. Una parte della finanza assomiglia sempre di più al gioco d’azzardo e il gioco d’azzardo è tassato.

Una nuova stringente argomentazione a favore della Tobin tax viene da un noto economista Paul De Grauwe. La crisi finanziaria globale ha dimostrato ancora una volta che il fallimento delle grandi banche è pericoloso e va evitato. Gli stati nazionali sono intervenuti in salvataggio delle istituzioni finanziarie con i soldi dei contribuenti e oggi le banche ricominciano a macinare profitti sfruttando le opportunità di trading generate dall’abbondante liquidità disponibile a tassi d’interesse bassissimi. In pratica esse godono di un’assicurazione implicita. Ma mentre tutti gli assicurati pagano un premio, loro non lo fanno. Una Tobin tax sulle grandi banche sarebbe null’altro che il giusto premio assicurativo da pagare per usufruire di quest’ancora di salvataggio.

Il consenso verso la Tobin tax sale ma ancora non ce la fa ad affermare questo principio elementare di giustizia in un provvedimento operativo. Le critiche e gli alibi sul possibile uso inefficiente della tassa sono irrilevanti. Gli esperti di sviluppo conoscono molte possibili vie ottimali per moltiplicare gli effetti di risorse finanziarie messe al servizio di questa causa. I proventi dalla Tobin tax potrebbero essere dedicati alla costruzione di infrastrutture di base nei paesi più poveri, finanziare con capitale di rischio delle merchant bank che capitalizzano istituzioni di microfinanza nascenti in giro per il mondo o, in parte, costruire fondi di garanzia a salvaguardia della solvibilità dei prestiti nella microfinanza.

La verità è che il rischio di perdere qualche briciola di profitto è ancora più importante della vita di centinaia di milioni di diseredati che, stipati all’interno di giganteschi slum, sono costretti a vivere in un contesto che alimenta e perpetua povertà e violenza senza fine.

Le contro-argomentazioni culturali o pseudoscientifiche rispetto a questa proposta appaiono di fronte alla storia di questi ultimi decenni sempre più ridicole e grottesche. Qualche sazio ricco che sente minacciata la propria tranquillità da iniziative del genere chiamerà ancora una volta tutto questo populismo. Noi lo chiamiamo principio elementare di umanità.

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