Così, come già detto mesi fa, qualcuno ha scoperto leggendo gli anticipatori di ciclo dell’OCSE che l’Italia tornerà al segno più nei prossimi mesi e che tali indicatori indicano una variazione migliore per l’Italia rispetto agli altri paesi. E qualcun altro ha scoperto i differenziali di costo della vita tra Nord e Sud e tra città e campagna. Noti ovviamente da tempo ma di cui era politically incorrect parlare per evitare dibattiti politici sulle gabbie salariali, cosa puntualmente avvenuta con proposte stonate e dirigiste che non tengono conto che la contrattazione decentrata ha superato da tempo un sistema dove le remunerazioni sono fissate per legge.
Arrivano i primi segni di ripresa congiunturale senza che siano state selezionate ed avviate le (ampiamente discusse) proposte di riforma della governance della finanza internazionale. Si gonfiano i profitti di alcune grandi banche d’affari sopravvissute al momento più duro della crisi e nei più pessimisti si fa largo l’opinione che questa crisi rischia di non aver generato altro che un regolamento di conti tra grandi operatori finanziari. La differenza è che prima della crisi i grandi profitti delle banche d’affari erano visti come indicatori di più benessere per tutti, mentre oggi i più avvertiti sanno bene che questa correlazione non c’è e si chiedono con paura con quali operazioni tali profitti siano stati realizzati.
Si intravedono per fortuna tracce provvidenziali che aggiustano le righe storte dell’uomo. La crisi è segnale e momento di svolta nel cambiamento di equilibri economici a livello mondiale: la convergenza Nord-Sud accelera e saranno stavolta i consumatori emergenti di Cina, India e Brasile a sostenere la ripresa. Resta però il problema del bottom million, del miliardo di incagliati per i quali i grandi processi automatici non funzionano o funzionano troppo lentamente e i processi di riaggiustamento volontari e dolorosi come quelli migratori trovano un loro limite massimo difficilmente valicabile.
Lo sguardo macro addolcisce e fa perdere i contorni ad una realtà che a livello micro è molto più drammatica e presenta contrasti sconvolgenti.
In un bellissimo e crudo racconto estivo un giovane ricercatore Piero Conzo (si veda l’articolo pubblicato assieme a questo), con cui lavoro per uno studio d’impatto di una realtà di microfinanza nei sobborghi di Buenos Aires, ci fa incontrare con una singola storia che dà corpo ed anima a tante cifre spesso aride seppure importanti. Elisa e il marito a trent’anni e con due figli si trovano per via di una truffa a dover ripartire da zero costruendosi la propria abitazione e sopravvivendo con difficoltà perché, prima dell’incontro con l’istituzione di microfinanza, gran parte dei loro pochi guadagni servono a pagare gli usurai.
Nello stesso momento, sempre guardando al micro, il contrasto più deciso dei paesi ricchi fortemente indebitati ai paradisi fiscali fa intravedere patrimoni miliardari al riparo dal fisco. Se quel miliardo evaso fosse stato investito in microfinanza avrebbe potuto generare 100.000 prestiti da 10.000 euro, molto di più di quanto necessario a 100.000 clienti con storie simili ad Elisa e il marito a rilanciare su scala più grande la loro attività e a far mangiare ai loro figli asado almeno una volta a settimana. E forse, anzi probabilmente, avrebbe reso di più evitando la trappola delle attività spazzatura.
E’ proprio vero che la felicità è per pochi perché l’insicurezza e l’ansia del possesso impedisce di scoprire la gioia moltiplicativa e feconda della condivisione delle proprie risorse per un maggiore valore economico e sociale di tutti. Sono pochi quelli che, come ha detto il presidente americano Obama nella recente premiazione delle più importanti personalità distintesi nel sociale a livello mondiale, riescono a realizzare i propri sogni e a spostare in avanti quelli degli altri.
Il senso semplice ma profondo del vivere si perde dietro a tanti alibi e mistificazioni che alla fine confondono le idee. La più grande mistificazione di oggi è che fregando il prossimo (con le false invalidità civili, con i patrimoni nei paradisi fiscali) si sia più felici.
Ma è troppo ottimista persino il presupposto che la gente insegua la fioritura della propria vita. La gran parte delle persone è già naufragata da tempo e non ha ambizioni così alte. Si accontenta di piccoli piaceri e compensazioni, sballottata tra un momento di euforia e uno di depressione, evitando accuratamente da tempo di porsi domande (compito oggi enormemente più facile grazie ai mezzi di distrazione di massa).
Eppure il vento soffia ancora e alla sua opera confluiscono le abilità e gli eroismi di tanti piccoli e grandi operatori che hanno scoperto il segreto della gioia di vivere. Sono sereni perché sanno godere dei loro (seppur limitati) successi e sono consapevoli che, anche se il risultato finale non dipende solo da loro, hanno messo la loro vela e le loro energie nella direzione giusta…
Quando si lascia l’asfalto…
rnQuando si abbandona la strada asfaltata per raggiungere l’interno di un quartiere si compie un salto in un mondo completamente diverso. Da un’immagine di quartiere in via di sviluppo si arriva a quella di una fatiscente baraccopoli, dove per le strade infangate regna un silenzio da coprifuoco; dove un uomo e un ragazzino martellano un rottame di auto per rivenderne il metallo e alcune donne stendono i panni tra un albero e l’altro.rn
A Santa Brigida, quartiere di San Miguel in provincia di Buenos Aires, quando si lascia l’asfalto ci si ritrova dinanzi tante piccole baracche di mattoni, lamine, e – per i più ricchi – cemento. Piccole “villette” con un giardino che ospitano una media di almeno tre cani per famiglia: di qui il nome villas, quasi un eufemismo argentino per indicare le sobrie costruzioni di chi si è ritrovato da un momento all’altro senza niente ed ha deciso di occupare un terreno e cominciare da zero.
Come Elisa e suo marito. Neanche trent’anni e già segnati da una vita di sacrifici e stenti per arrivare oggi a vivere alla giornata con due bambini piccoli in una casetta di mattoni con latrina in costruzione. La loro storia comincia quando lui raccoglie gli unici risparmi di una vita per investirli nell’acquisto di una casa per la sua giovane moglie incinta del primo bambino. Paga un anticipo dell’80% alla padrona e comincia a ristrutturare quasi tutta l’abitazione ma alla fine la padrona cambia idea e si tiene la casa e la caparra.
I due sarebbero rimasti per strada se lui non avesse chiesto alla suocera una piccola parte del suo terreno, dietro la sua casa, per ricominciare da zero e costruire le fondamenta. Così, mattone su mattone, i due riescono a costruire la loro casa; il tetto, tuttavia, è sempre stato un optional. Hanno cominciato con lamiere di metallo, ma pioveva e faceva freddo; quando il governo ha regalato i primi tetti di legno agli occupanti delle villas, loro non erano in casa e chi è arrivato per primo ha preso tutto. Oggi hanno un tetto di legno, ma – non essendo impermeabilizzato – lascia cadere in casa la pioggia.
La vita della giovane coppia è una lotta quotidiana per riuscire a portare a casa qualcosa da mangiare ai loro due bambini (dieci e quattro anni). Mi raccontano con orgoglio che sono sempre stati molto dediti al lavoro. Lei prepara pane e altri dolci, mentre lui carica l’auto e cerca di rivenderli. Tuttavia ora l’auto è rotta e ci vogliono troppi soldi per aggiustarla; per questo il giovane marito ha deciso di provare ad aggiustarla con le proprie mani: è da quattro giorni che cerca di smontare e rimontare il volante. Non ha mai riparato un’auto, mi spiega, ma bisogna imparare a fare di tutto.
Il loro capitale consiste in una piccola bilancia, un forno a gas da cucina e pochi altri utensili; il tutto nel loro piccolo soggiorno/ingresso/cucina. Mi dice Elisa che se avesse un forno grande come quello dei panettieri, riuscirebbe a produrre molto di più: quella sarebbe la chiave per l’espansione del loro microimprendimento; quella sarebbe l’opportunità che gli permetterebbe di poter dar da mangiare asado ai propri bambini almeno una volta a settimana.
Per comprare qualche materia prima e qualche utensile sono costretti a chiedere costantemente prestiti agli usurai della zona, che richiedono pagamento quotidiano e interessi altissimi (30-40%). Mi dicono che è davvero una brutta sensazione quando per una giornata di lavoro riescono a guadagnare qualcosina ma sono costretti a pagarne la metà agli usurai. Penso alla loro precarietà e mi vengono in mente le coppie di giovani precari che in Italia non riescono ad arrivare a fine mese e lottano ogni giorno per costruirsi una famiglia come quella dei loro genitori. Vedo come nonostante tutte le loro sventure i due giovani riescano a guardare avanti: la loro misera vita è piena della semplice gioia di poter stare sotto lo stesso tetto e colorata dalla vivacità dei loro figli.
Quando si lascia l’asfalto, c’è precarietà e povertà nascosta. C’è la lotta per la sopravvivenza e l’ansia per il giorno successivo. C’è la sfiducia nelle istituzioni e la paura del vicino. C’è l’amarezza di chi è stato costretto a perdere la fiducia a causa delle innumerevoli delusioni della vita. Ma c’è soprattutto tanta voglia di combattere, di arrivare al giorno successivo da vincitori e non da vittime. C’è tanto orgoglio e voglia di investire in se stessi.
A Santa Brigida, come in tanti slums del mondo, c’è voglia di vivere…nonostante.
Piero Conzo
Università Roma, Tor Vergata
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