Nel Sud e nelle isole l’incidenza di povertà assoluta (5,8%) è quasi doppia rispetto a quella osservata nel Nord (3,5%) o al Centro Italia (2,9%), sebbene qualora si osservi la dinamica 2005-2007, si nota come l’incidenza delle famiglie meridionali “povere” in senso assoluto si sia ridotta, mentre è cresciuto il numero delle famiglie povere del Centro – Nord del Paese.rn
I dati di cui parliamo sono quelli diffusi in questi giorni dall’Istat con riferimento all’anno 2007. Con tale concetto s’intende misurare la soglia che individua un “livello di vita minimamente accettabile[1]”: i poveri di cui si sta parlando sono, dunque, coloro che vivono stati di carenza assoluta di mezzi basilari per vivere dignitosamente, e privati dell’accessibilità a vivere un livello di vita adeguato al contesto in cui si trovano.
In tal senso l’Istituto nazionale di statistica, che da poco ha ripreso la rilevazione e pubblicazione di tali dati con una metodologia rinnovata, ricorda che “le soglie di povertà assoluta non vengono definite solo rispetto all’ampiezza familiare (così come viene fatto per la povertà relativa), ma sono calcolate per ogni singolo tipo di famiglia, in relazione alla zona di residenza, al numero e all’età dei componenti.” È una misura del fenomeno che trascura le differenze territoriali socio-economiche, relative soprattutto alle condizioni di mercato e alle diversità di potere d’acquisto, ad essa infatti si preferisce accompagnare spesso una misura relativa. Non solo. Un approccio di misura, maggiormente accurato, dovrebbe tenere conto della multidimensionalità del fenomeno povertà. Sebbene trascuri diversi aspetti rilevanti per la comprensione del problema (si veda il contributo di Becchetti e Schito), il dato in questione costituisce un’occasione importante di riflessione sulla grado di coesione sociale del nostro Paese.
Sono le famiglie più numerose, quelle in cui il capofamiglia ha perso il lavoro o è anziano a risentire di più delle altre: particolarmente svantaggiate le famigli con soli anziani.
La rilevazione Istat conferma altresì come la povertà assoluta sia positivamente associata con il basso livello di istruzione e i bassi profili professionali.
Ovviamente è la mancanza di un reddito da lavoro a confermarsi come il “fattore di rischio” più rilevante della povertà assoluta: la condizione più grave è, infatti, “quella rilevata tra le famiglie dove non sono presenti occupati né ritirati dal lavoro, tra le famiglie, quindi, che non hanno un reddito da lavoro né un reddito derivante da una pregressa attività lavorativa: in questo caso, ben un quinto delle famiglie (20,5%) risulta in condizione di povertà assoluta”[2].
Tale evidenza empirica assume una prospettiva ancora più grave (soprattutto nel regioni del Centro Nord), se si pensa che tali dati sono riferiti al periodo immediatamente precedente alla grave crisi economica e finanziaria che si è sviluppata a partire dalla scorsa estate.
L’indagine Istat dunque sottolinea la fragilità e la vulnerabilità di una parte delle famiglie italiane che, con notevole probabilità, sarà aggravata dagli effetti economici e sociali della crisi: espulsione dal lavoro di molti occupati, crescita delle ore di cassa integrazione, aumento dello scoraggiamento dei disoccupati e tendenza alla “sommersione” e alla irregolarità in alcune branche di attività economica. Il dato sulla povertà costituisce un indicatore importante e preoccupante che invita a proseguire l’azione di sostegno alle famiglie promossa da molte istituzioni (mi riferisco in particolare alla Conferenza episcopale, oltre che al governo italiano), no soltanto attraverso trasferimenti (oggi più che mai urgenti e necessari) ma anche attraverso la forma più progredita del microcredito, strumento che deve aiutare le famiglie nella crisi non solo a mantenere un livello di vita dignitoso ma a trovare le forze necessarie per rilanciare un percorso occupazione e professionale.
Il lavoro è un obiettivo prioritario: non solo per le istituzioni ma per tutto il mondo produttivo ed economico (imprenditori e non), vale la pena in tal senso di ricordare cosa ci indica il “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” al n. 294: “ Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell’uomo: esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli. Famiglia e lavoro, così strettamente interdipendenti nell’esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un’attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro.
Il lavoro è spesso al centro della vita di ogni persona, oggi più mai è importante che al centro del mondo del lavoro ricominci ad esserci la persona.
rn[1] Cfr. “La misura della povertà assoluta”, collana “Metodi e norme” n. 39/2009, Istat, pag. 14.rn
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