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La cultura economica ha sofferto nel corso degli ultimi decenni il predominio di un approccio riduzionista che attenta alla “biodiversità” antropologica ed organizzativa, non rispecchia appieno la ricchezza e la varietà dei contributi della comunità scientifica e rappresenta una volgarizzazione schematica del suo patrimonio di conoscenze.

Il riduzionismo ha due aspetti fondamentali: antropologico ed organizzativo. Secondo il primo il modello di persona utilizzato come riferimento nella scienza economica (il cosiddetto homo economicus) sceglie unicamente sulla base del proprio autointeresse personale con l’obiettivo di massimizzare guadagno e consumi (interessante notare che, per un’altra disciplina sociale, la psicologia, l’ homo economicus è un paziente da curare !). Il riduzionismo organizzativo stabilisce invece che l’unica forma d’impresa è quella che massimizza il profitto, anteponendo questo obiettivo a tutti gli altri criteri valoriali. Nella versione più forte alcuni arrivano ad affermare che, per via di un processo di selezione darwiniana, soltanto questo tipo di impresa può sopravvivere sul mercato e ogni altro tentativo di modifica della scala dei valori è destinato a soccombere.
Di fronte a questa impostazione “tolemaica” esiste oggi un fronte sempre più nutrito di scienziati “copernicani” che mettono in luce le aporie e le contraddizioni del riduzionismo. Studi sperimentali ed evidenze dirette dimostrano come le componenti di dono, “passione per l’altro” e dovere morale affiancano quelle dell’autointeresse nelle scelte di consumo e risparmio sconfessando la “parodia” dell’uomo economico. La storia degli ultimi anni dimostra l’esistenza e la prosperità di una quota importante di imprese (cooperative, imprese sociali, microcredito, commercio equo e solidale, ecc.), mosse da “spiriti solidali” oltre che dai tradizionali “spiriti animali” keynesiani, che hanno avuto la forza di nascere e di prosperare non spinte dal massimo profitto come primario obiettivo.
Per fare solo un esempio, i dati più recenti del Micro Banking Bullettin individuano la presenza di circa 3.100 istituzioni di microfinanza nel mondo che consento l’accesso al credito a più di 100 milioni di soggetti non bancabili. Considerando la dimensione media delle famiglie (4,5 membri) nelle aree in cui esse operano, è possibile inferire che il microcredito promuove pari opportunità ed inclusione di circa 450 milioni di persone vicine alla soglia di povertà, favorendo al contempo una creazione di valore economico che altrimenti andrebbe perduta. Le banane equosolidali rappresentano oggi circa il 25%del mercato delle banane inglese grazie alla capacità dei pionieri dell’iniziativa di coinvolgere grandi attori nel circuito: le maggiori catene di supermercati inglesi hanno deciso di vendere solo banane equosolidali e il 3 Settembre 2008 E-bay ha lanciato una piattaforma dedicata (WorldOfGood.com) per il commercio equo online di prodotti di artigianato calcolando che il fatturato del settore negli Stati Uniti dovrebbe passare dai 209 miliardi del 2005 ai 420 miliardi del 2010.
Accanto a queste realtà emergenti, forme più tradizionali di “biodiversità” come quelle delle imprese e delle banche cooperative rappresentano da sempre una parte significativa del nostro sistema economico che tenta di coniugare efficienza e valore sociale. La quota di mercato delle banche di credito cooperativo in Italia è superiore al 10% in termini di sportelli. Il sistema cooperativo rappresenta nel suo insieme attorno al 7% del PIL.
Paradossalmente, la crisi finanziaria e gli eventi di questi ultimi mesi rovesciano il postulato della superiorità evolutiva delle imprese tradizionali enunciato in precedenza. In un contesto di asimmetrie informative e in organizzazioni complesse il criterio della massimizzazione del profitto non sempre si rivela quello più sostenibile. Quando incentivi basati sulla performance a breve vengono definiti per tutti i membri dell’organizzazione, essi finiscono per favorire comportamenti opportunistici di breve periodo che, se non monitorati opportunamente, mettono in crisi la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.
Tutto ciò sottolinea l’importanza e la ricchezza della “biodiversità” in economia: una consistente quota di cittadini è disposta a pagare per il valore sociale ed ambientale contenuto in prodotti reali e finanziari e la biodiversità organizzativa risulta fondamentale per produrre quei valori civici e fiducia (interpersonale, tra le banche, tra clienti e banche) di cui il mercato ha assoluto bisogno per poter funzionare. In questo particolare momento di crisi la moltiplicazione dei derivati sul credito ad opera di grandi intermediari finanziari tradizionali negli Stati Uniti, associata ad un indebitamento elevato e alla mancanza di regolamentazione degli intermediari non bancari, ha generato grazie alla miccia del crollo dei prezzi immobiliari la crisi finanziaria globale minando la fiducia nel sistema. Il ruolo delle imprese responsabili appare oggi fondamentale per mantenere riserve di fiducia e per produrne di nuova. Senza la biodiversità economica la crisi di oggi sarebbe stata molto più grave. L’incendio di numerosi alberi di alto fusto in una foresta che brucia è ciò che fa più impressione. Sotto le fiamme però la foresta è ancora viva e si trasforma ponendo le condizioni di una rigogliosità futura.
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