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Si è da pochi giorni conclusa la 29esima edizione del Meeting di Rimini per l’Amicizia fra i Popoli che ha contato sulla presenza di numerosissimi relatori – appartenenti al mondo delle istituzioni, associativo, politico, culturale, ecclesiastico, imprenditoriale – invitati a confrontarsi con oltre 700 mila partecipanti.

Ma, probabilmente, il Meeting del 2008 verrà ricordato per il “Patto di Rimini” sul federalismo, sollecitato da alcuni governatori regionali, primo fra tutti Roberto Formigoni. Partecipando ad un incontro sulla sussidiarietà per il cambiamento del Paese, il Presidente della Regione Lombardia ha auspicato la necessità che le Regioni possano avere maggiore competenza in determinate materie, in virtù di una riforma costituzionale approvata 7 anni fa, ma mai veramente applicata.
I temi del decentramento, del federalismo e della sussidiarietà, non sono nuovi nel nostro Paese. Dopo i primi tentativi (a metà degli anni Settanta) finiti nelle sabbie mobili di un sistema pubblico a finanza derivata e fortemente centralizzato, il vento della regionalizzazione delle policies europee – sommato alla stringente necessità di riavvicinare le istituzioni locali ai cittadini – ha determinato, sul finire degli anni Ottanta, un nuovo dibattito che ha portato alla grande stagione della normativa autonomistica (partita con la legge 142/1990), passata poi attraverso una stagione statutaria senza precedenti, continuata con la legittimazione popolare di Sindaci e Presidenti delle Province scelti direttamente dai cittadini. A metà degli anni Novanta, i principali cambiamenti del sistema hanno interessato la finanza, il management e la semplificazione amministrativa. Con lo sbarco degli enti territoriali italiani sui mercati finanziari (1996), con le profonde trasformazioni dei profili professionali del management pubblico e con l’approvazione del Titolo V della Costituzione, può considerarsi avviata, ma non realmente a regime, la prima fase di decentramento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali.
Se, infatti, da destra a sinistra tutti corrono dietro lo stendardo del federalismo, è innegabile che nella pratica tale cammino sia sempre stato in salita. Nel commentare il percorso della devolution, ci si sofferma poco sul senso della sussidiarietà nella sua articolazione verticale e orizzontale. Un principio che, invece, ha permeato di sé gli animi delle autonomie territoriali e dei privati: le prime, interessate dal duplice connubio competenze-risorse e responsabilità-potere; i secondi, dal dispiegarsi di nuovi scenari a sostegno delle performances aziendali. Come ampiamente sostenuto dal Presidente Formigoni, la sussidiarietà non coincide con il federalismo, poiché è un principio che viene prima e ne è il fondamento stesso; pertanto, occorre mettere in luce questa radice profondamente umana della sussidiarietà, affinchè diventi bene comune per l’uomo. La rivoluzione sussidiaria deve essere innanzitutto culturale e antropologica, capace di investire ogni persona del diritto di poter decidere e dare risposte da sé ai propri bisogni. C’è, infatti, un blocco sterile che vive e trae la propria forza dal suo monopolio della redistribuzione delle risorse fiscali raccolte, e la sussidiarietà può divenire lo strumento in grado di ridare trasparenza e correttezza alle Amministrazioni Pubbliche eliminando sprechi e corruzione. Un federalismo in grado di rispettare ed assecondare il principio di sussidiarietà, può rappresentare la leva per uscire dall’empasse economica che il Paese sta attraversando: di fronte al fallimento delle vecchie politiche fortemente stataliste, assistenzialiste e basate su un liberalismo che si muove solo sulle regole del mercato, il cammino federalista in chiave sussidiaria rappresenta un movimento non solo economico, ma soprattutto culturale e sociale, che dà la possibilità ai cittadini di poter confrontare le performance di ogni amministrazione, giudicandone l’operato sulla base dei servizi offerti. La devoluzione di determinate materie a regioni ed enti locali, istituzioni maggiormente vicine ai bisogni dei cittadini, può rappresentare la scintilla in grado di avviare il motore della competitività e dell’efficienza. Il rispetto di determinate regole e principi, passa invece attraverso l’esercizio da parte dello Stato dell’equità; un diritto centrale per ogni essere umano. Quando lo Stato garantisce equità e dignità, con gli strumenti di oggi, diventa uno Stato che produce continuamente modernità nell’era globale; perché saranno gli esseri umani stessi, spinti e alimentati dalla coesione sociale, a sostenere efficientemente il sistema.
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