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Ho una grande stima di Franco Masera e perciò sono rimasto un po’ sorpreso leggendo il suo articolo “Manager delle banche per migliorare la PA” apparso su Il Sole 24 Ore del 28 giugno. Infatti, nonostante i progressi da lui ricordati, non si può certo dire che in questo periodo l’immagine delle banche e in generale delle istituzioni finanziarie sia molto positiva nell’opinione pubblica e la qualità del management sia considerata molto elevate.

Anche le indagini di alcuni mesi fa sui settori dei “servizi” non collocano le banche e le assicurazioni al vertice, ma al di sotto della media, nei giudizi di soddisfazione dei clienti.

Pensare, poi, di affrontare un problema storico, quale l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, al centro del dibattito praticamente dall’unità d’Italia, con “il coinvolgimento di un team di 100-200 giovani manager provenienti dal settore bancario distaccati per un periodo di 6/12 mesi su alcuni cantieri di cambiamento delle PA”, significa sottovalutare pericolosamente la complessità dei problemi reali di questo settore e dei processi di sua modernizzazione. E’ una ricetta che deriva da uno stereotipo dell’amministrazione che non corrisponde alla realtà.

Nelle amministrazioni pubbliche esistono già molte persone con elevata professionalità, molte delle quali sono ancora motivate nonostante la pioggia di critiche, che attuano un cambiamento spesso poco noto all’esterno o che non riescono a dare migliori servizi molte volte a causa di vincoli giuridici, interferenze politiche, azioni di lobbying esterne di cui 100-200 “giovani manager provenienti dal settore bancario” sicuramente non hanno la più precisa percezione.

Anche coloro che hanno una professionalità non adeguata alla realtà moderna, o che non condividono, non accettano o addirittura ostacolano il cambiamento, anche i famosi (e vituperati) fannulloni, in genere sono tutt’altro che sprovveduti, conoscono i meandri delle leggi e spesso hanno i contatti giusti per tenere in scacco 100-200 giovani, anche che non conoscono la specifica realtà e che in 6-12 mesi avrebbero giusto il tempo di capire il “ginepraio in cui sarebbero capitati” e, in gran parte, decidere di tornare i luoghi meno complessi.

Infine mi permetto di segnalare due aspetti che non sono stati considerati nell’analisi e nella proposta di MASERA. Mi sembra che la logica dominante in molte parti dell’attività bancaria e in quella assicurativa, sia quella della proceduralizzazione, per garantire i controlli incrociati, la sicurezza dei dati, la quantificazione e valutazione del rischio. Come è ampiamente noto, la procedimentalizzazione, o eccesso di procedure formali, è proprio il punto debole della logica e dei comportamenti burocratici, il male da cui bisognerebbe liberare i processi decisionali e amministrativi.

I 100-200 giovani rischierebbero di rendere più efficienti, e magari più tecnologicamente avanzate, procedure che renderebbero più rigide le Amministrazioni. Un burocrate-persona a volte riesce anche a operare extra-legem o praeter-legem per risolvere un problema reale non previsto dalla norma, una burocrazia tecnologica proceduralizzata non consentirebbe nemmeno questo margine di flessibilità positiva.

Il secondo aspetto riguarda il fatto che negli ultimi 15-20 anni, quindi con governi di diverso orientamento, vi sono già stati molti “cantieri del cambiamento” e che nel periodo 2001-2006, oltre al Ministro per l’Innovazione che proveniva dal mondo manageriale privato (Lucio Stanca), vi sono stati vari e significativi (anche sul piano economico) incarichi a primarie società di consulenza per riorganizzare i Ministeri. Se questi interventi non hanno cambiato molto, e sicuramente non hanno risolto il problema, non si capisce come potrebbe funzionare la nuova ricetta molto simile alle vecchie. Perché, invece di proporre un nuovo cantiere e una nuova sperimentazione, non ci si impegna a capitalizzare, a “patrimonializzare” come dicono gli uomini di finanza, le conoscenze positive maturate nei cantieri del passato e non ci si attrezza per evitare i rischi e non ripetere gli errori del passato.

Chi si occupa da oltre 30 anni di questo settore ha imparato, anche sulla propria pelle e con errori, che la cultura di un settore che da molti guru e dai più influenti studiosi di management è considerato molto più complesso di grandi imprese (e banche) globali, non si cambia con irrealistiche proposte di modificazione di qualche legge o decreto, o con qualche velleitaria task force che dovrebbe creare una “forza d’urto che in tempi relativamente brevi (due/tre anni) potrebbe ottenere risultati concreti sul piano della produttività e della qualità”. Certamente leggi con regole che premiano il merito e la professionalità nel settore pubblico, la valorizzazione, anche tramite i media, di “ciò che funziona bene”, oltre la denuncia di “ciò che funziona male”, alcuni interventi “mirati” possono aiutare, ma nessuno deve illudersi di risolvere con ricette semplicistiche un problema che rappresenta un nodo gordiano per la società moderna e non solo per l’Italia. Per determinare un cambiamento reale e duraturo, occorre agire a più livelli. La semplificazione delle norme, introduzione di nuove tecnologie, adozione di logiche e strumenti di “orientamento” al servizio e non all’adempimento, sistemi di valutazione e incentivazione del personale sulla base del reddito, sistemi di misurazione del grado di soddisfazione dei cittadini e delle imprese, introduzione di maggiore autonomia collegata però a precisi indicatori di performance aiutano e creano condizioni positive. Ma l’intervento “strutturale” a più elevato ritorno nel lungo, ma anche nel breve periodo, è quello di investire in formazione per chi già opera a vari livelli nelle amministrazioni pubbliche e, soprattutto, nei tanti giovani, più di quanti non si creda , che vogliono fare qualcosa per sé, per il proprio futuro, congiuntamente a qualcosa di utile per la società. Ad essi bisogna trasmettere fin dall’università conoscenze e competenze sul funzionamento non solo delle imprese, delle banche, delle assicurazioni e istituzioni finanziarie, ma anche delle istituzioni pubbliche. Insomma un intervento di carattere strutturale, come in genere si dice, e non congiunturale.

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