Nel suo profetico romanzo 1984, George Orwell coglieva il nucleo centrale del totalitarismo perfetto: la conquista delle parole. Lo scrittore immagina l’introduzione da parte del ‘Ministero della Verità’ di una neolingua corrispondente a una versione drasticamente semplificata della lingua originale (‘archelingua’) in cui i lemmi assumevano un significato che veicolava in maniera necessaria l’ideologia del partito al potere in modo tale che, per la completa desertificazione dello spazio semantico corrispondente, fosse del tutto impossibile formulare un pensiero autonomo.
La sorprendente riesumazione della questione fascismo/antifascismo da parte della politica e dei media nei mesi passati, è una applicazione da manuale dei principi della neolingua orwelliana, che vale la pena considerare.. ma andiamo con ordine. Il fascismo propriamente detto (l’estensione plurale della parola ‘fascismi’ raccoglierebbe esperienze troppo eterogenee risultando quindi troppo generica) ha a che vedere con un fenomeno collocabile nello spazio (Italia) e nel tempo (1921-1945 considerando l’appendice della Repubblica di Salò). Il fenomeno è stato ampiamente studiato da storici di grande spessore culturale e, ai nostri giorni, si può dire che si sia arrivati a un generale consenso sulle peculiarità del fenomeno separando gli aspetti essenziali (e.g. corporativismo) da quelli accessori (e.g. razzismo) o comuni ad altri regimi dittatoriali (e.g. sospensione delle libertà democratiche) e soprattutto individuando una dinamica interna da movimento rivoluzionario anti-borghese a struttura politica di sostegno del blocco agrario-capitalista.
La politica culturale del fascismo (per inciso largamente ispirata da una raffinata organizzatrice culturale di ascendenza ebraica come Margherita Sarfatti) ha avuto un respiro internazionale notevole (ampiamente sfatata la leggenda del provincialismo Italiano di quegli anni) come evidente dalle grandi realizzazioni in campo urbanistico, scientifico, tecnologico, artistico che, seppur ispirate alla ricerca del consenso, hanno comunque posto le basi materiali e spirituali della rinascita italiana del dopo-guerra. Detto questo, si è parimenti d’accordo tra storici anche di diversa estrazione che il fascismo fosse formato da una banda di masnadieri al governo e che in ogni caso sia da considerare una esperienza definitivamente conclusa e non replicabile nella stessa forma stante la completa mutazione del quadro sociale negli ultimi ottanta anni.
Per un cittadino statunitense, a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, invece la parola ‘fascista’ (ed ecco la neolingua semplificante) si traduce come ‘persona arrogante, ignorante e brutale’ e, per implicazione necessaria, ‘razzista, criminale e intollerante’. Questa implicazione è la diretta conseguenza del fatto che il termine (dagli anni sessanta in poi) è strettamente legato al mondo liberal-progressista di quella nazione.
E’ evidente come questa definizione sia del tutto errata per almeno tre ordini di motivi:
Logici: Visto che sono esistiti fascisti dichiarati (non scordiamo che dagli anni trenta fino all’inizio della seconda guerra mondiale la quasi totalità degli italiani si dichiarava fascista) colti, gentili, miti e tolleranti, l’ipostasi ‘fascismo’ per racchiudere un globale giudizio morale è errata in partenza. Allo stesso modo l’esistenza di antifascisti malvagi, violenti, criminali..rende del tutto insulsa la definizione.
Storici: L’Italia ha l’onore di essere l’unica nazione europea in cui il rapporto tra ebrei scampati e sterminati durante i terribili anni della guerra è a netto favore degli scampati. Notevole a questo proposito i pensieri di Hannah Arendt riportati nel suo saggio ‘La banalità del male’: «il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie ….. Finché l’Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto… Il sabotaggio era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda». Insomma il caso di Giorgio Perlasca, il fascista che salvò cinquemila ebrei, non fu isolato. «Quando il fascismo, allo stremo della sua sovranità, cedette alle pressioni tedesche, creò un commissariato per gli affari ebraici, che arrestò ventiduemila ebrei, ma in gran parte consentì loro di salvarsi dai nazisti», come ancora scrive Hannah Arendt.
Linguistici: Il fascismo si è sviluppato in Italia e non sarebbe comprensibile senza considerare la storia e le peculiarità italiane che lo hanno plasmato. Non a caso ‘fascismo’ è una parola italiana, derivata da uno specifico riferimento alle insegne delle legioni romane indicanti simbolicamente la forza collettiva risultante dalla stretta unione di elementi singolarmente deboli. Non a caso in Italiano esiste anche il termine ‘fascina’, che indica anch’esso una collezione di rami ma, a differenza dei fasci, meno strettamente legati e quindi con molta minore resistenza globale al taglio.
Questo ultimo punto, che sembrerebbe il più vano e inutilmente erudito è paradossalmente il più rivelatore per inquadrare la natura dell’attuale totalitarismo alla Orwell. Mentre a nessuno (almeno per ora) verrebbe in mente di considerare un cuoco del Minnesota come la principale autorità sulla originale ricetta della pasta all’Amatriciana o dei vincisgrassi, non abbiamo nessuna remora ( parlo qui di politici, intellettuali, giornalisti) ad assumere il significato ‘americano’ di fascismo come l’unico e originale e così utilizzarlo nel dibattito politico. Ora, se questo uso fosse puramente strumentale alla lotta politica, sarebbe sempre un atteggiamento disdicevole ma non così pericoloso; purtroppo le cose stanno in maniera molto più grave. Vi prego di considerare attentamente questo intervento di Pierpaolo Pasolini riguardante Sabaudia che chiarisce in maniera magistrale (infinitamente meglio di come possa farlo io) i termini della questione.
In estrema sintesi, partendo dalle meravigliose architetture littorie di Sabaudia, Pasolini considera come esse non siano l’espressione del fascismo ma della tradizione culturale Italiana di ‘vita buona’ (è commovente il rimando alle famiglie che abitano le case di Sabaudia) che nei secoli si è espressa come ‘architettura a misura d’uomo’ (si noti il prefisso arc- della parola architettura che rimanda alla tradizione della comunità come nei termini ‘arcaico’, ‘archetipo’ ecc.) . Il paragone fra l’edilizia popolare di Garbatella (era fascista) e Tor Bella Monaca (era democratica) è sconfortante, il punto, come sottolinea acutamente Pasolini, è che il fascismo (una banda di briganti al potere nelle sue parole) era un totalitarismo rozzo che non aveva avuto alcun potere sul tessuto della società italiana, laddove il totalitarismo raffinato della civiltà dei consumi (e siamo ancora agli anni settanta !) era passato come una pialla su millenni di storia snaturando la civiltà italiana in maniera così insidiosa da non farsi riconoscere come totalitarismo.
Il nuovo totalitarismo sembra aver vinto la ‘guerra delle parole’ eliminando lo spazio semantico necessario per farsi riconoscere come pensiero unico violento e facendosi passare per ‘inevitabile progresso’. Questa in sintesi la posizione di Pasolini; io non sarei così pessimista, la presenza di forti sacche di resistenza alla distruzione culturale e alla corrispondente neolingua totalitaria, sono abbastanza evidenti (si consiglia per un inquadramento filosofico del tema, la lettura di un classico del pensiero come Ernst Junger, nella fattispecie il piccolo volume intitolato Trattato del Ribelle soffermandosi sul ruolo che egli assegna alla Chiesa nell’opposizione al totalitarismo moderno).
Credo che da tutto ciò si comprenda come, a mio modo di vedere, la seduta spiritica collettiva per evocare il fantasma del fascismo e così propiziare una nuova separazione manichea tra buoni e cattivi sia nel migliore dei casi un errore di prospettiva e nel peggiore una resa al pensiero unico. Nello stesso tempo, il fatto che questi miei pensieri siano ospitati nell’ambito di una organizzazione cattolica che ha sottoscritto un documento sul tema fascismo/antifascismo, mi rende immensamente sereno e fiducioso che (almeno per quanto ci riguarda come cristiani impegnati nel dibattito culturale) solo di una svista si tratti.
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