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Oltretutto, fatti recenti della cronaca industriale italiana sembrerebbero dar ragione a coloro che considerano l’economia di mercato un male da estirpare: la FIAT è ciclicamente in crisi e sistematicamente messa in salvo dall’intervento taumaturgico della politica e l’Alitalia è stata più volte sul punto di chiudere; se i suoi aerei hanno potuto ancora volare in questi ultimi due anni è perché un “prestito ponte” da parte dello Stato di 400 milioni di euro le ha consentito di sopravvivere. Se contro i fatti non valgono gli argomenti, dovremmo concludere che il mercato è un pessimo sistema per produrre ed allocare le risorse economiche.
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Invero, siamo così sicuri che i fatti siano realmente quelli che appaiono e che invece non siano altro che la rappresentazione di ciò che vorremmo che fossero, sulla base di rassicuranti pregiudizi consolidati? Si, perché tutto si può dire tranne che l’Alitalia sia mai stata un’azienda di economia di mercato.
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Il mercato è un sistema di relazioni umane attraverso le quali gli individui, interagendo liberamente, danno vita a informazioni circa la quantità e la qualità di beni e servizi che intendono vendere e acquistare; da tale processo spontaneo nascono i prezzi. L’impresa, in un’economia di mercato, è lo strumento di cui si dotano gli individui per rispondere alla domanda di quei beni e servizi i cui prezzi, con le loro decisioni/relazioni, hanno contribuito a formare.
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Ebbene, l’Alitalia è stata per decenni un pachiderma di disservizi nelle mani delle burocrazie statali. Non appena il settore aereo si è liberato del fardello del monopolio statale, imprenditori capaci hanno immediatamente compreso che, data la cattiva gestione e i disservizi dell’Alitalia, si era finalmente aperta la possibilità di offrire ai consumatori, che detengono realmente lo “scettro” nel sistema di mercato, un’alternativa vantaggiosa rispetto alle condizioni praticate dalla Compagnia di Bandiera. E ciò è accaduto. L’Alitalia che deteneva ben il 70% del traffico aereo nazionale è crollata al 45%, la sua capacità di intercettare la clientela business (dove i margini di guadagno sono chiaramente più elevati) si è attestata intorno all’11% contro il 15% degli altri vettori, ma, cosa ancor più preoccupante, il 90% dei voli intercontinentali non produce un Euro di guadagno.
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Non è stato, dunque, il mercato ad ammazzare l’Alitalia (e non potrà essere lo “Stato” a risuscitarla), bensì l’azienda stessa a suicidarsi, non tenendo conto delle informazioni che provenivano dai clienti, i quali normalmente chiedono soltanto di non essere trattati come limoni da spremere, altrimenti, se possono – se esiste il mercato – cambiano fornitore.
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Dunque, il mercato non ha affossato l’Alitalia, invece, come minimo, gli andrebbe riconosciuto il merito di aver consentito ai viaggiatori di pagare meno e di viaggiare meglio scegliendo altri vettori. L’Alitalia è stata affossata da quei cattivi dirigenti che, invece di soddisfare il cliente (il profitto altro non è che la misura della soddisfazione del cliente), hanno preferito compiacere un ceto politico del tutto incuranti del bene dell’azienda, ma interessato a coltivare il proprio “parco clientes”. Oggi l’Alitalia ha una grande occasione: ripartire contando solo sulla “logica del mercato”, come opportunamente hanno fatto notare i commentatori del WSJ. Una logica che ci dice che il mercato non è solo inevitabile, in quanto esito spontaneo della naturale tendenza umana a migliorare la propria condizione relazionandosi con l’altro, ma è anche essenziale al commino dell’uomo sul terreno della conoscenza, della solidarietà e della responsabilità.
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