Passate le feste e le delusioni del dopo voto, vediamo di ragionare un po’ più a freddo. Il PD ha perso di brutto, dilapidando circa il 50% dei suoi voti in meno di tre anni: non ci era mai riuscito nessuno prima d’ora. Ora un governo serio dovrebbe promettere lacrime e sudore e dare al contempo la speranza di un futuro migliore e la garanzia che lo Stato sarà al loro fianco in questo percorso.

Passate le feste e le delusioni del dopo voto, vediamo di ragionare un po’ più a freddo.

Il PD ha perso, ha perso di brutto, dilapidando circa il 50% dei suoi voti in meno di tre anni: non ci era mai riuscito nessuno prima d’ora.

Salvini e Di Maio si dichiarano vincitori e reclamano da Mattarella l’incarico a formare il nuovo governo. Salvini è riuscito in una impresa perché ha portato il suo partito dalla probabile estinzione a superare Forza Italia e a diventare egemone nel Centro destra. Ha vinto politicamente, ma non tanto da poter formare un nuovo governo perché ha solo il 37% e gli manca ancora l’incollatura del 3% per far scattare il premio di maggioranza che gli garantirebbe la formazione di un governo con una solida base parlamentare. Quindi non ha alcun interesse a formare un governo con i 5 stelle; il suo obbiettivo sono nuove elezioni e la spallata definitiva per superare il 40 da leader della coalizione.

Di Maio ha sfondato al Sud raggiungendo percentuali astronomiche, in leggero regresso al Centro Nord, ma che comunque lo attesta al 32%, in crescita, ma non tanto da poter formare un governo da solo. Non a caso, “contrordine compagni”, cerca alleanze e le va a cercare proprio in quel PD su cui ha sputato veleno dalla nascita.

Neppure lui ha interesse a stringere alleanze con Salvini perché sa benissimo che il “reddito di cittadinanza” (soldi elargiti senza alcuna contropartita) piacciono al Sud, ma sono incompatibili con l’imprenditorialità diffusa al Centro Nord che invece protende verso un consistente abbattimento delle tasse.

Il PD è all’angolo perché se torna subito alle elezioni prende un’altra batosta e scende sotto il 15 %, ma ha anche bisogno di tempo all’opposizione per riformulare la sua strategia e sostituire diverse caselle nel suo quadro dirigente, dunque ha bisogno che qualche altro governi.

Renzi ha dato le dimissioni, ma le ha collocate a dopo la formazione di un nuovo governo, cosa che allo stato degli atti ci sembra assai ardua. Vedremo cosa succederà durante la direzione del PD. Dunque un perdente ma nessun vincitore.

Non è possibile neppure un governo con lo scopo di riformulare la nuova legge elettorale, perchè proprio chi ha sputato fango (per non dire peggio) su questa legge elettorale, ne è stato il maggior beneficiario e quindi piace a tutti.

Francamente non vorrei essere nei panni di Mattarella perché l’unica strada percorribile al momento è la “prorogatio” di Gentiloni fino a che i giri di consultazione avranno certificato che i partiti non possono formare un governo. Poi sarà costretto a varare in governo di “tecnici” fino a nuove elezioni che non si potranno tenere molto presto; a conti fatti, come minimo, si va all’autunno con qualche possibilità all’anno prossimo. In fondo non sarebbe una cosa nuova: in Spagna hanno votato tre volte di seguito, la Merkel ha impiegato sei mesi per formare il nuovo governo e in Belgio sono stati 14 mesi senza un nuovo esecutivo.

Questo il quadro, per così dire, “tattico”, ma vediamo quello “strategico”. Smettiamo di dire che hanno vinto i populismi, è un termine troppo general generico che non coglie la sostanza delle cose.

Crisi vuol dire cambiamento e il cambiamento investe tutti gli strati della società. In fondo meno tasse al Nord e soldi al Sud è la strada più semplice per illudere e illudersi di far ripartire l’economia e il benessere generalizzato; le cose non stanno così e ci sono tutte le controprove, basta volerle vedere.

Questa società non è pervasa dalla “paura” dello straniero, ma dalla insicurezza del posto di lavoro: una insicurezza che va dal cambio delle mansioni fino alla perdita del lavoro stesso sia dipendente che autonomo. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”; Ungaretti la riferiva ai soldati in trincea, adesso pervade tutta la società. Non è colpa di un governo o di qualcuno in particolare, è il cambiamento epocale in cui siamo immersi.

Una volta fare il bancario significava la vita intera, oggi sono tutti precari; il commercio su internet si sviluppa a cifra doppia ogni anno e molti negozi chiudono; i giornali si leggono sull’I-phon saltando l’edicola; le vacanze si prenotano su internet senza l’agenzia; in fabbrica richiedono specializzazioni che molti non hanno; al Nord i proprietari scoperchiano i capannoni vuoti per non pagare più l’Imu.

Lo Stato si riorganizza, chiude le Province, le Camere di Commercio, i Tribunali, le Questure, accorpa comuni; le banche si fondono ma soprattutto scompaiono i piccoli potentati di provincia che garantivano una gestione “ad personam” del credito, dopo i disastri di questi anni.

Chi pensa che il tempo si possa fermare è già morto e a nulla varranno i palliativi delle promesse elettorali dell’abbattimento delle tasse o, peggio ancora, dei sussidi a pioggia.

La colpa del PD è di non aver detto tutta la verità e con chiarezza agli Italiani, offrendo lo Stato come garante per questa trasformazione. Le riforme fatte sono sembrate dei “tappabuchi” e alle volte la pezza era addirittura peggiore del buco stesso.

Tutte le categoria economiche e sociali devono essere consapevoli dei cambiamenti che ancora ci aspettano, e spetta allo Stato e ai partiti politici dirle con chiarezza, ma con altrettanta chiarezza tutte le categorie devono essere consapevoli dei cambiamenti che li aspetta rendendosi disponibili ad affrontare il futuro, senza la vana speranza di salvarsi attaccandosi, come la cozza allo scoglio, ai privilegi fino qui maturati e custoditi come emblemi del proprio status sociale.

Un governo serio dovrebbe promettere “lacrime e sudore” e dare al contempo la speranza di un futuro migliore e la garanzia che lo Stato sarà al loro fianco in questo percorso.

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