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Il 2010 è stato l’Anno Europeo per la Lotta contro la Povertà e l’Esclusione Sociale. Parlare di povertà in uno dei continenti più ricchi del Mondo può sembrare un controsenso; in realtà, sebbene all’interno dei confini dell’Unione europea non ci sia più nessuno che muoia di fame, ciò non significa che la povertà sia scomparsa. Anzi.

Sono più di 23 milioni gli europei che vivono con meno di dieci euro al giorno, un europeo su cinque non ha un’abitazione adeguata, quasi un europeo su dieci appartiene a una famiglia priva di lavoro. In totale l’UE stima che siano circa 80 milioni le persone che vivono sotto la soglia di povertà nel vecchio continente, cioè il 16% della popolazione. 

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Questi sono i dati con i quali la Commissione ha presentato l’Anno Europeo per la Lotta contro la Povertà, il cui fine è innanzitutto quello di sensibilizzare i cittadini europei e sollecitare l’impegno dei Governi Nazionali. La decisione di dedicare un anno a questo tema era stata presa prima della crisi finanziaria che ha investito le economie occidentali, ma questa ricorrenza può assume un significato particolare se riuscirà, come auspicato dal livello più alto delle istituzioni europee, a rinnovare l’impegno e la partecipazione di tutti nel contrasto alle più gravi forme di povertà. Il rischio, ovviamente, è come sempre che questa occasione resti solo una ricorrenza simbolica cui i Governi diano poco spazio reale nelle loro agende politiche. Questo rischio c’è, se pensiamo che il tema della promozione del benessere sociale, per quanto citato anche nei Trattati costitutivi delle Comunità e dell’Unione Europea, non rientra nelle competenze proprie delle Istituzioni Europee; questo significa che spetta solo agli Stati mettere in campo azioni di lotta all’esclusione sociale, mentre l’Unione può solo avere una funzione di coordinamento. È quello che l’Europa ha cercato di fare a partire dal 2000 quando i capi di Stato e di Governo hanno delineato la cosiddetta “Strategia di Lisbona” che mirava non solo a rilanciare l’economia ma anche a creare uno sviluppo che fosse sostenibile e che portasse a una “maggiore coesione sociale”, individuando nuovi meccanismi di coordinamento come strumento principe per raggiungere tali obiettivi.
 
Cosa è stato fatto dunque in quest’anno?
L’azione dell’Unione e dei Governi si è incentrata su tre punti: la realizzazione di progetti di contrasto alla povertà, la sfida contro i pregiudizi per cambiare la percezione collettiva, la sensibilizzazione dei cittadini europei e dei governi dando voce direttamente alle persone che vivono in situazioni di povertà.
Particolare attenzione è stata posta sul modo in cui raccontano la povertà i media, per i quali è stato creato anche un particolare concorso giornalistico. Ciò che l’Europa ha voluto sottolineare è la mancanza di un’analisi approfondita da parte dei mezzi di comunicazione quando si parla di povertà, e in particolare l’assenza delle storie personali di chi si trova in una situazione di esclusione sociale. Per quanto riguarda i progetti veri e propri, l’Unione ha stanziato 17 milioni di euro ripartiti tra i diversi Paesi. Anche se a questi aggiungiamo i soldi stanziati dai singoli stati, considerando tutte le attività di promozione, organizzazione di eventi e pubblicità, possiamo dire che le cifre raggiunte non sono poi così entusiasmanti.
 
L’Italia, ad esempio, ha dedicato per le attività collegate all’Anno Europeo 2010 circa 1,5 milioni di euro, finanziati per metà dall’UE. I progetti accolti sono stati 13 per un totale di 500 mila euro, mentre una quota simile è stata dedicata all’organizzazione di eventi e alla promozione dell’Anno Europeo. Rispetto agli altri Paesi, la particolarità del nostro Paese è che il Governo ha lanciato una campagna per incentivare le donazioni in favore delle associazioni che si occupano di solitudine e povertà. A questa campagna è stata legata in particolare l’azione mediatica relativa all’Anno Europeo, dal titolo “Aiuta l’Italia che aiuta”.
L’evento di chiusura dell’EY2010 per il nostro Paese è previsto proprio per quest’Ottobre.
 
In tempi di crisi economica un grosso rischio è quello che, con i riflettori puntati sulla crescita economica, ci si dimentichi proprio di quelle persone che più duramente vengono colpite da essa. L’Anno Europeo è stato sicuramente un’occasione per ricordarci di loro, ma probabilmente non basta. Il rapporto che l’Europa ha avuto con la lotta alla povertà è sempre stato altalenante; la stessa Strategia di Lisbona dopo 5 anni è stata rivista, e l’obiettivo della coesione sociale è passato in secondo piano in favore, ancora una volta, della crescita economica. D’altra parte il vero problema non è a livello europeo ma a livello dei Governi nazionali, i quali non vogliono impegnarsi seriamente in tema di lotta alla povertà, e neanche vogliono attribuire maggiori competenze in materia al livello europeo, considerando quanto già mal sopportano le restrizioni che derivano dal Patto di Stabilità.
Chi potrà raccogliere la sfida della lotta alla povertà in Europa se i Governi continueranno a tirarsi indietro? La speranza è che l’Unione non voglia lasciare questo compito solo al mondo del volontariato, cui è proprio dedicato l’Anno Europeo 2011.
 
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