Si è tentato di dare un contributo, certamente positivo, nell’attribuzione di ampie sfere di autonomia fiscale in capo alle Regioni e agli enti locali, attraverso l’individuazione di alcuni principi di fondamentale importanza per la convivenza civile: uguaglianza di tutti i cittadini; perequazione delle risorse e sussidiarietà; ma a conti fatti, tutto questo come si traduce in termini di politiche a sostegno della famiglia?rn
La Riforma ha previsto, quale principio e criterio direttivo dell’intera disciplina del nuovo sistema tributario, l’effettiva attuazione del “favor familiae”, ovvero una particolare tutela alla famiglia riconosciuta dalla Costituzione; il problema è tradurre i principi, in strumenti realmente efficaci nei fatti e a voler essere ottimisti passeranno 9 anni prima che il sistema federale vada pienamente a regime.
Detto in altre parole, i diritti della famiglia sono di fatto tutelati sulla carta, ma dalla nascita della Costituzione ad oggi – ovvero da quasi 62 anni – nessun governo si è davvero impegnato a tradurre tali diritti in leggi, a partire dall’imposizione fiscale. Il nostro sistema considera, infatti, come soggetto fiscale il singolo, non il nucleo familiare: basti pensare che il calcolo delle tasse che un contribuente deve versare allo Stato viene fatto senza tenere in conto se buona parte delle sue entrate vengono utilizzate per mantenere e crescere i figli, compito che la Costituzione considera tra i doveri propri della famiglia.
Eppure la famiglia è lo specchio della società. È di fatto la prima forma di istituzione sociale privata, a forte connotazione pubblica: è sulle famiglie che ricade il peso di qualsiasi decisione pubblica; sono le famiglie che giudicano l’operato di governa ed è impensabile non metterle al centro della vita istituzionale del Paese.
La famiglia è chiamata a partecipare attivamente alla vita e allo sviluppo della società, in quanto ne è la prima cellula vitale; è il primo produttore di benessere economico, svolge un ruolo decisivo come soggetto di scelte economiche ma, allo stesso tempo, deve essere oggetto di attente scelte economiche.
Per tutti si può ricordare la chiara affermazione contenuta nella Familiaris consortio del 1981 in cui il Giovanni Paolo II affermava che in virtù del principio di sussidiarietà “lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono ugualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l’iniziativa responsabile delle famiglie. Convinte che il bene della famiglia costituisce un valore indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti – economici, sociali, educativi, politici, culturali – di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità”.
Non si chiede allo Stato di assistere la famiglia come si farebbe con un infermo, ma di sostenerla affermando il diritto all’autosostentamento, attraverso un maggiore raccordo tra politiche statali, regionali e locali che mettano in moto meccanismi in grado di rafforzare l’autonomia delle famiglie, riconoscendo loro quella dignità d’essere che fino ad oggi è rimasta solo confinata in una promessa.
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