Si tratta di un saggio breve e agile: un’occasione per farsi un’idea più precisa rispetto allo stato in cui si trova la pubblica amministrazione italiana e alle soluzioni possibili per renderla davvero al passo con i tempi.rn
Il titolo è evidentemente evocativo della campagna promossa dal ministro Brunetta. Il messaggio sottinteso, però, è che fannulloni non si nasce, ma si diventa: sono i meccanismi alla base del funzionamento di un’organizzazione che influenzano i comportamenti di chi vi lavora.
Questo assunto offre lo spunto per guardare alla riforma della PA da un punto di vista meno istintivo e più razionale. Non si tratta semplicemente di combattere una battaglia contro i fannulloni, versione moderna degli untori di manzoniana memoria; si tratta, piuttosto, di modificare i meccanismi organizzativi interni delle pubbliche amministrazioni affinché ad essere premiati e riconosciuti siano i comportamenti virtuosi.
Il libro di Valotti ha l’ambizione di proporre una vera e propria “cura per la burocrazia malata”, una cura che permetta di ritrovare orgoglio e motivazione.
Principio fondamentale della cura è la necessità di aumentare la “pressione sui risultati”.
Visto che si parla ormai da decenni dell’importanza di una gestione pubblica orientata ai risultati, credo valga la pena chiedersi come mai non si sia ancora riusciti a realizzare questo cambiamento di prospettiva.
Il primo ostacolo è rappresentato dalla difficoltà strutturale a riconoscere “oggettivamente” un’amministrazione pubblica di successo. Mentre nel caso dell’impresa privata è chiaro a tutti che il successo è legato alla capacità di essere in attivo e generare utili, per una pubblica amministrazione le cose sono più complicate. E’ più di successo un comune che costruisce buone strade o un comune che sa offrire servizi sociali all’avanguardia? E’ più di successo un ospedale che è in grado di assicurare l’eccellenza internazionale nella cura di una specifica patologia o uno che sa assicurare livelli adeguati seppur non eccellenti per tutte le patologie?
Per poter parlare di risultati in una pubblica amministrazione è innanzitutto necessario chiarire quali sono gli obiettivi. E condizione per definire gli obiettivi è l’avere in mente una chiara “visione” della società. Gli obiettivi costituiscono quel “sistema di riferimento” che è condizione necessaria per capire se un’amministrazione può essere considerata di successo o no. Senza questo sistema di riferimento, ogni valutazione è del tutto arbitraria ed opinabile.
E’ evidente che ciò implica la chiamata in causa della politica. Spetta, infatti, al livello politico definire la “visione” e gli obiettivi che costituiscono il sistema di riferimento per determinare i risultati. Certamente, su questo fronte oggi la politica è debole. L’esperienza di molti enti dimostra che gli input che arrivano dalla politica sono spesso incoerenti, frammentati ed orientati al brevissimo termine.
Difficilmente viene esplicitata una chiara visione strategica, una visione che vada al di là dei soliti slogan (“migliorare la qualità della vita dei cittadini”) e contenga scelte forti, mature, di ampio respiro.
Si tratta di una debolezza comprensibile. E’ difficile, innanzitutto, conciliare le diverse sensibilità ed i diversi punti di vista all’interno di una visione condivisa che non sia generica. E’ difficile avere la forza di compiere scelte davvero “strategiche”, sia perché si solleverebbe la dura opposizione dei gruppi sociali “vincenti” nello status quo, sia perché significherebbe assumersi davvero il rischio dell’effettivo raggiungimento dei risultati. Se si stabiliscono sin dall’inizio obiettivi chiari e misurabili e per varie ragioni, anche esterne alla buona volontà e all’impegno profuso, al termine del mandato questi obiettivi non sono raggiunti non si potrà evitare di risponderne personalmente.
E’ sicuramente più comodo adottare obiettivi più fumosi, che lascino la possibilità alla fine del mandato di poter comunque affermare di avere amministrato bene. Anche se questo significa essenzialmente non farlo.
Perché si possa davvero affermare una gestione pubblica orientata ai risultati, dunque, è necessario innanzitutto che la politica si assuma le proprie responsabilità, compresi i rischi di possibili fallimenti.
Nel frattempo, però, anche dirigenti e funzionari sono chiamati ad attivarsi sin da subito, senza aspettare passivamente l’evoluzione della politica.
Un primo modo per stimolare la politica a compiere le scelte che ad essa competono è quello di mettere a disposizione dati ed informazioni in maniera attendibile e sistematica. Nell’era in cui si riconosce il “potere dell’informazione”, la disponibilità di misurazioni chiare dei fenomeni e delle attività della pubblica amministrazione rappresenta una pressione forte verso una gestione pubblica più consapevole ed un dibattito politico meno fumoso. Misurazioni e dati attendibili non possono passare inosservati; devono essere necessariamente prese in considerazione da chi ha la responsabilità delle scelte, anche se sarebbe più comodo non farlo.
Nelle organizzazioni pubbliche dove si è dato il giusto rilievo alla misurazione si è avuto come conseguenza un innalzamento del livello del dibattito politico, della qualità delle decisioni e della chiarezza degli obiettivi.
In queste realtà, i cittadini vedono le amministrazioni pubbliche come soggetti meritevoli di un elevato riconoscimento sociale. I dipendenti sono più orgogliosi del proprio lavoro, più produttivi e più “imprenditoriali”.
Il libro di Valotti si conclude con un’affermazione molto importante. L’effettivo ammodernamento della pubblica amministrazione italiana, oggi, è possibile anche stante l’attuale quadro normativo. Il problema non è quello di avere leggi che consentano un modo diverso di gestione della cosa pubblica. Il problema è interiorizzare una cultura gestionale nuova, moderna, che permetta a chi opera sul campo di lavorare per cambiare quelle condizioni organizzative che fanno la differenza tra un’amministrazione pubblica si stampo burocratico ed una davvero moderna e orientata al futuro.
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