Negli anni ’90 gli italiani si sono ubriacati con l’idea del maggioritario. Prima il maggioritario è apparso nelle istituzioni con la legge elettorale per i comuni, poi il “Mattarellum” che costringeva l’elettore ad una scelta secca, infine è passato negli statuti dei partiti e nella prassi comune.
Dopo il crollo del muro di Berlino ci siamo illusi di diventare una democrazia anglosassone bipolare senza tenere in alcun conto la struttura sociale e la cultura profonda del nostro paese. Venivamo da una situazione a dir poco “bizantina” della politica fatta nelle segrete stanze e al di fuori di uno schema democratico e palese. Vi ricordate il CAF? Craxi, Andreotti, Forlani e le riunioni segrete nel camper per essere certi che nessuno potesse ascoltare.
Così sono cominciate le primarie a sinistra e l’affermazione del Berlusconismo come modello di selezione della classe politica dirigente.
Alle prime elezioni con il Mattarellum ci siamo accorti subito che qualcosa non andava, ma abbiamo fatto finta di nulla. Il sistema maggioritario e bipolare anglosassone presuppone il riconoscimento politico dell’avversario, mentre da una parte c’era la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e dall’altra era un “coglione” chi votava per il centrosinistra. I media si sono adeguati specialmente la carta stampata. A nulla valse il ritornello di Veltroni, pochi anni dopo, che chiamava Berlusconi “il leader dello schieramento a noi avverso”, in Tv e sui giornali colava il sangue che faceva audience e aumentava le tirature.
Quando cinque anni fa il sistema politico è divenuto tripolare, tutti ci siamo accorti che se si doveva trovare una maggioranza in Parlamento, bisognava giungere ad un compromesso; ed ora che i grillini sentono il profumo del potere dismettono anche loro la casacca dei duri e puri e sostengono che alcune alleanze si potrebbero anche fare.
La verità è un’altra: è questo Paese che non potrà mai essere maggioritario.
A differenza degli anglosassoni, da noi esistono i corpi intermedi che in realtà sono la vera struttura sociale su cui poggia l’impalcatura dello Stato. Ci piaccia o no è così, e con questa bisogna fare i conti. Che cosa sono i corpi sociali intermedi?
Qualunque aggregato sociale ha una struttura identica, formata da un leader che ha poteri superiori agli membri del gruppo, i cui aderenti subiscono una sorta di “iniziazione” per essere ammessi, sottostanno ad una disciplina interna molto ferrea, infine sono qualificabili proprio perché appartenenti al gruppo spesso.
Si potrebbe dire – con gli opportuni distinguo – che in Italia lo schema sociologico della diocesi o della parrocchia permea tutte le altre strutture sociali, dagli ordini professionali, a quelli di categoria, dalla mafia alla bocciofila di Busto Arsizio. Non ha i caratteri della lobby, piuttosto quella della corporazione, e come tutte le corporazioni che si rispettino, oltre a difendere i propri adepti, è capace di produrre elaborazione culturale e per questa via di influenzare il consenso politico. Questo è il punto. L’influenza politica a mezzo del consenso è possibile per due motivi: un controllo molto stretto sui propri aderenti e la capacità di interdizione delle decisioni politiche.
Un’altra caratteristica dirimente è che non è possibile una delega in bianco al “Macron” di turno perché il potere (delle corporazioni) si esercita giorno per giorno e quotidianamente va contrattato e difeso. Quindi non ci può essere un politico che sta al posto di comando senza che questo possa essere in qualche modo influenzato dalle singole corporazioni.
In fondo sono meglio tanti piccoli Re Travicello che un solo Re Serpente. Nella favola di Esopo (o forse di Fedro) c’è più “Scienza della politica” che in molti manuali scolastici. Negli anni ’80 la signora Thatcher impiegò otto mesi per ristrutturare l’industria manifatturiera inglese, noi impiegammo 10 anni, però con una diversità: gli inglesi non hanno più una seria industria e noi siamo il secondo paese manifatturiero in Europa dopo la Germania.
Renzi e il suo entourage, sono giovani e non hanno mai pensato che la politica sia anche compromesso (cum promitto, cioè promettersi reciprocamente). Quei giovani, politicamente parlando, hanno creduto invece che all’Italia servisse qualcuno che prendesse delle decisioni uscendo dalla palude dei veti incrociati che producono immobilismo.
Il suo successore, più navigato, in questo quasi anno di governo ha saputo assai meglio districarsi nei meandri della politica compromissoria, talvolta concedendo, tal altra decidendo; in uno stile da padre fondatore della Repubblica sia democristiano che comunista perché i socialisti, da questo punto di vista non hanno mai saputo (vedi Craxi a Sigonella).
Così, dopo l’ubriacatura del maggioritario si ritorna ad un proporzionale sia pure corretto; il giorno dopo le elezioni, le coalizioni si sfasceranno e si ritornerà al punto di partenza in cui siano possibili gli “aggiustamenti” che la politica richiede. I partiti che riusciranno a garantire più degli altri questo schema, saranno premiati, votati e faranno il nuovo governo. Agli altri il compito, come succedeva nel passato, di dire che va tutto male anche quando l’Italia cresceva a ritmi cinesi.
Da ultimo vi voglio raccontare di Carlo VIII e della Repubblica di Venezia. Nel 1494 Carlo VIII, re di Francia, scende in Italia, attraversa facilmente tutta la penisola e si installa a Napoli. Gli statarelli italiani lo lasciano passare. Due anni dopo si accorgono che questo fa sul serio e che potrebbe minacciarli tutti, così formano una Lega, mettono in campo un esercito e lo affrontano. Carlo se ne torna in Francia. Pochi anni dopo ci prova Venezia a conquistare l’Italia, stesso scenario, la Serenissima è sconfitta.
Gli Italiani non vogliono che qualcuno comandi davvero, tutti voglio scendere a patti con il potente di turno garantendosi i privilegi (ora si chiamano diritti acquisiti) che avevano fino a quel momento.
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