Sin dall’antichità, pensatori, filosofi e uomini di stato si sono interrogati sul tema dell’impegno pubblico, su quali dovessero essere i principi morali, le virtù e le regole di condotta di chi assumeva una carica nell’amministrazione statale.
La gestione della cosa pubblica era tanto importante per gli antichi greci, che essi indicavano come “idioti” coloro che si limitavano ad occuparsi delle loro faccende private, coloro che non sentivano la passione per l’interesse generale della polis.
Nel mondo romano, poi, l’attenzione alla gestione pubblica, agli onori e alle responsabilità ad essa associate, diventavano l’aspirazione massima di ciascun uomo, il quale riconosceva nel servizio alla collettività la via maestra per la propria realizzazione personale oltre che della propria affermazione sociale. E’ con questo spirito, ad esempio, che Cicerone dedica al figlio Marco il De Officis.
D’altro canto, il dibattito sull’impegno pubblico non è un pilastro della sola cultura occidentale. Anche in oriente chi si occupava della cosa pubblica era tenuto in altissima considerazione. I samurai, nel loro ruolo di guerrieri e di funzionari pubblici, sono la dimostrazione più conosciuta di questo riconoscimento sociale.
Una tale importanza attribuita a chi svolge una funzione pubblica è ancora attuale ai giorni nostri? Il dubbio viene dal generale approccio che nella società moderna si riserva alle cariche e alle funzioni pubbliche.
Infatti, si ha l’impressione che, nel comune sentire, quel riconoscimento sociale che un tempo si attribuiva a coloro che si occupavano della cosa pubblica, oggi abbia lasciato il posto ad un atteggiamento di sufficienza, un misto di rimprovero e di compatimento.
Questa diffidenza ha per oggetto sia coloro che assumono una carica elettiva, sia coloro che lavorano in un’amministrazione pubblica, a livello locale, regionale o nazionale.
Nei riguardi dei primi, si rintracciano atteggiamenti più o meno benevoli. I meglio disposti li osservano con compatimento, giudicandoli al pari di idealisti che dedicano tempo e fatica per motivazioni “alte” ma irraggiungibili: una schiera di Don Chisciotte a cui verrebbe da dire “Ma chi te lo fa fare? Lascia stare, non vale la pena.” Quelli che si ritengono più esperti delle cose del mondo sono dell’idea che “se ha deciso di fare politica, vuole dire che ha i suoi interessi da sistemare”.
Anche i poveri funzionari pubblici non sono messi bene nella considerazione generale. Anche in questo caso, i commentatori si dividono tra coloro che con sufficienza li ritengono fondamentalmente delle “brave persone, anche se non sarebbero in grado di lavorare da altre parti” e coloro, invece, che li individuano come i “perditempo buoni a nulla che avrebbero bisogno di lavorare in un’impresa privata per capire che cosa vuol dire lavorare davvero”.
Altro che samurai, la classe colta e ammirata della società giapponese. Salvo eccezioni, chi si occupa della “cosa pubblica” ha sceso diversi gradini nella scala dell’affermazione sociale.
Complice l’individualismo serpeggiante, sembra che oggi l’”idiota” dei greci sia diventato il modello da seguire. Chi si occupa del proprio “particolare” viene ammirato; chi si interessa della cosa pubblica, dei problemi della collettività,…meno.
La globalizzazione, l’affermarsi di una concorrenza economica ormai su scala mondiale, sembrerebbe confermare questo sentimento diffuso. Laddove il gioco si fa più duro, ognuno deve pensare innanzitutto a salvare se stesso. In realtà, ad uno sguardo più attento, si scopre come una delle migliori risposte alle dinamiche economiche globali stia propria in una rinnovata attenzione alla collaborazione, all’azione collettiva, alla disponibilità di ciascun individuo di farsi carico della responsabilità di ciò che accade al di fuori del portone della propria casa. Le teorie economiche che parlano di distretti produttivi (non solo quelli tradizionali, ma anche quelli innovativi: si pensi alla Silicon Valley, o al distretto di Bangalore in India), di capitale sociale, di tessuto socio-culturale quali ingredienti fondamentali per lo sviluppo della competitività di un territorio non fanno altro che riaffermare la centralità dell’azione collettiva, che passa innanzitutto attraverso le istituzioni pubbliche di un territorio.
Per far sì che un territorio acquisti la capacità competitiva necessaria a sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione, invece che subirne passivamente le minacce, è necessario riporre al centro dell’attenzione, e della considerazione sociale, la gestione pubblica, l’impegno politico, la partecipazione collettiva, la condivisione della responsabilità rispetto alla scelta ed al perseguimento di obiettivi che riguardano l’intera collettività.
Come fare per riportare di moda l’impegno pubblico? Il punto d’attacco potrebbe essere il comune. Gian Domenico Romagnosi, maestro di Carlo Cattaneo, riconosceva già all’inizio dell’800 come a livello comunale sia più facile che il singolo cittadino sacrifichi una parte del suo interesse individuale immediato per un bene collettivo di più ampio respiro. L’attività politica ed amministrativa a livello comunale diventa la migliore palestra per ricostruire una rinnovata, convinta attenzione al perseguimento del bene comune e, per questa via, una rinnovata speranza per il futuro.
Infatti, ridare attenzione alla cosa pubblica significa, oggi, abbandonare i panni dei clienti-consumatori intenti a godere nell’immediato e quanto più possibile dei beni materiali e dei piaceri della vita perché “del doman non v’è certezza”, per assumere quelli delle persone lungimiranti interessate a costruire con successo un futuro prospero per sé e per i propri figli.
Ecco, dunque, che ricominciare a porre la questione dell’impegno pubblico, ricominciare a discuterne e dibatterne, non è un esercizio riservato a coloro che rimpiangono melanconicamente il passato, ma diventa una priorità per chi vuole tenacemente guardare avanti, per chi non vuole limitarsi a chiudersi in casa per paura di quello che può accadere fuori, ma uscire e affrontare a viso aperto le nuove sfide dei tempi moderni. Per questo, non è da ritenersi demodè ritrovare la voglia di essere cittadini fino in fondo, facendo proprio l’appello del Papa ad essere persone impegnate politicamente, con sani principi morali e competenze adeguate alla complessità del compito.