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“E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te” (Franco Battiato)

Franco Battiato canta e con la sua voce vibrante tocca il cuore e ci risveglia indicandoci la via da percorrere. Una via smarrita che occorre ri-tracciare a partire dall’etimologia latina cùra. Etimologia che si declina in più versioni. Alcune fonti antiche rinviano alla radice cor, cuore, altre alla radice ku battere, martellare, altri ancora Kau, Kav osservare, guardare, vigilare.

Una questione si palesa. Oggi quale posto occupa la cura, nella nostra società che Papa Francesco definisce “società dello scarto”? Non si è forse ridotta a mera osservazione accompagnata da vigilanza-omologazione? Vigilanza generalizzata che vira verso l’omologazione a modelli imposti. In una societàà dove l’altro è diventato una minaccia, un pericolo da tenere a distanza, in un mondo dove regnano l’indifferenza e il disprezzo per il diverso e sempre di più si cerca di annullare ogni diversitàà e correggerla a propria immagine e somiglianza, la cura evapora e cede il posto al controllo, altra faccia dei protocolli di apprendimento.

In un mondo dove gli ideali vacillano, le certezze perdono consistenza e lo smarrimento dilaga, le societàà promuovono programmi educativi ad hoc per convivere con le malattie, per diventare bravi genitori, per gestire le emozioni, lo stress ecc. Se si volge lo sguardo verso coloro che si prendono cura dei bambini, degli anziani, dei malati, dei disabili, si coglie in un lampo che l’implicazione soggettiva e l’invenzione di chi si prende cura sono sempre più sbiadite dal momento in cui fanno venir meno la dimensione di cura particolare dell’altro, vale a dire l’operazione che riconosce l’altro come un “essere speciale”, unico irripetibile. Si è sempre in cerca delle risposte giuste degli esperti che fanno riferimento a un sapere precostituito sostenuto da protocolli e linee guida.

Le originarie dispensatrici di cura, le mamme, entrano immediatamente nel circuito dell’apprendimento, per esempio con il corso pre-parto dove si insegneràà loro non solo come affrontare al meglio il parto, ma anche come comportarsi con i futuri nascituri, come dispensare le prime cure e non ultimo non lasciandole sole ma inserendole in una rete di future mamme che potranno scambiarsi idee, opinioni e condividere problemi e difficoltàà. Le dispensatrici di cure useranno come riferimento le teorie infantili, saranno attente alle fasi di sviluppo, acquisiranno un sapere scientifico, faranno corsi per apprendere cosa si fa e come si fa a diventare una “buona madre”.

L’esperienza clinica maturata in questi anni ci mostra che il sapere acquisito può ostacolare l’incontro con il proprio figlio, ridotto spesso a oggetto da plasmare secondo il modello di funzionamento appreso. E se qualcosa non funziona, si attiva immediatamente la macchina della valutazione per reperire il disturbo e, una volta identificato, si procede alla sua correzione. Altri protocolli, altre linee guida e altri addestramenti! Le mamme dei bambini autistici o con disturbo generalizzato delle sviluppo vengono addestrate dagli esperti per acquisire specifiche competenze educative diventando al contempo membri dell’equipe terapeutica.

Il prendersi cura dell’altro non si mostra più come atto d’amore e dedizione ma diviene una prassi terapeutica che richiede competenze tecnico-professionali. Il temine anglosassone caregivers,“coloro che si prendono cura”, è entrato nell’uso comune e si riferisce ai familiari che si occupano di un congiunto “malato non autosufficiente.

L’addestramento e la formazione dei caregivers è ormai prassi consolidata da diversi anni, essa prende avvio dall’ospedale, prosegue nei percorsi di assistenza domiciliare e nei corsi organizzati per fornire strumenti terapeutici efficaci. La politica della acquisizione delle competenze è orientata da scelte fondate sull’efficacia dei trattamenti, vale a dire sul rapporto costo-beneficio. Più i genitori o familiari sono addestrati e ben formati, più si riducono i costi sociali.

L’inclusione del caregivers nei piani terapeutici mira a promuovere la qualitàà degli interventi. Là dove il welfare fallisce, si sfrutta il lavoro di cura non retribuito dei familiari. In Italia si lotta per ottenere una legge e una tutela dei diritti dei caregivers, spesso privati della loro vita o impossibilitati a lavorare. Le persone dedite alla cura formano associazioni per la tutela di una popolazione di lavoratori invisibili.

Le parole di una signora, “caregiver super formata”, moglie di un uomo in stato vegetativo da quindici anni, fanno eco, risuonano come un monito. Qualche giorno fa, durante un colloquio, si chiede se sia possibile denunciare lo Stato per sequestro di persona e riduzione in schiavitù. La donna si trova in una posizione ormai insostenibile, e realizza in un lampo che non ha possibilitàà di scelta. O sta a casa a occuparsi del marito e continua a rinunciare alla sua vita, oppure deve operare “una deportazione forzata”, vale dire spedire il marito in “un istituto-lager”. Due lacrime le scivolano sul viso, una sofferenza muta urla dolore e fa segno. Come farci destinatari di una sofferenza senza nome che dilaga? Quale posto dare agli invisibili che ogni giorno si occupano delle “vite indegne di essere vissute” deportate negli istituti, nelle case? Questa donna ci insegna che si possono fare scelte che hanno un prezzo, scelte che fanno saltare l’efficacia e il rapporto costi benefici, scelte etiche singolari che nella “societàà dello scarto” sono impopolari. La “cargiver super-formata”, in grado di coordinare al meglio la poca assistenza erogata, dice di no agli esperti che, paradossalmente, la invitano a pensare alla sua salute e a non rinunciare alla sua vita.

Non ci resta che farci garanti e testimoni di queste scelte dando voce agli invisibili che a caro prezzo scelgono di farsi responsabili e “dire no” alla “societàà dello scarto”. Per dirla con Freud e Lacan, uno psicoanalista quando incontra un soggetto deve sospendere il giudizio, sgombrare il campo dai modelli, dalle norme e dagli schemi precostituiti imposti da protocolli e linee guida per creare, invece, le condizioni che favoriscano un sapere intimo fondato sul desiderio singolare sempre “fuori dalle norme”. Per dirla con Lacan, “non si tratta di dirigere il paziente, ma di dirigere la cura”. Per dirla con Battiato, “tu sei un essere speciale e io avrò cura di te”, cura e salvaguardia del tuo essere speciale unico e irripetibile.

 

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