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Ricordo che nella prime lezioni di Diritto costituzionale a cui assistetti da studente, il Professor Grottanelli De’ Santi usava ripeterci un’immagine suggestiva per farci capire la svolta che il momento della nascita della Costituzione rappresenta nella storia e nella coscienza di un popolo.

“Un popolo senza Costituzione – diceva – oggi non potrebbe dirsi un popolo; apparirebbe come una di quelle immagini dei dannati che compaiono nella Divina Commedia illustrata da Gustave Doré”. Soltanto più tardi, proseguiti i miei studi e fatta qualche esperienza politica, avrei cominciato a comprendere la reale pregnanza di questa immagine. Avrei cominciato a percorrere la drammaticità di un itinerario culturale e civico che si rinnova di giorno in girono, di stagione storico-politica in stagione storico-politica. E’ il viaggio di un popolo in movimento che, crescendo e cambiando, è chiamato a riflettere (e a riflettersi!) nello specchio fermo della sua Carta costituzionale per guardarsi in faccia e per ritrovarsi. 

A sessant’anni di distanza da quando la Carta fu promulgata, si sente da più parti l’esigenza di verifiche e di adeguamenti, resi necessari dal percorso che, nel frattempo, la società italiana ha fatto su molti livelli: quello economico, quello politico e quello sociale. E’ cresciuta l’interdipendenza dei sistemi economici a livello planetario, siamo entrati in una dimensione relazionale e decisionale più vasta quale quella dell’Unione Europea, sono sparite le ideologie che avevano segnato la coscienza e la cultura politica del secolo scorso.

Tutto questo pungola il sistema a ricercare modelli di governo più stabili e chiari. E’ giusto, dunque, porsi di fronte alla questione della revisione costituzionale con una buona dose di realismo e con un senso di responsabilità che non può prescindere da una giusta fedeltà al momento storico in cui si vive. E’ giusto, cioè, trovare risposte alle domande della quotidianità a partire dalla Carta costituzionale, sentendosi in essa e per essa cittadini, ma non sentendosene mai sudditi. In altre parole, sbaglierebbe chi pensasse di trincerarsi dietro alla presunta intangibilità (di merito, ovviamente) della Costituzione, per non voler/saper adeguarla alle esigenze odierne. La svilirebbe ad un rango di feticcio civile, anziché esaltarla alla sua autentica dimensione di guida e di alto parametro per il bene comune.

E nessun aggettivo appare più adeguato da usare, quando si parla della Costituzione, della parola “Comune”. “Comune” inteso non tanto nel senso di qualcosa che appartiene a tutti, cioè che è di ciascuno. “Comune” va qui inteso, piuttosto, in un’ottica ribaltata. E’ comune, cioè, anzitutto ciò a cui tutti sentiamo di appartenere. La Costituzione è “comune”, come lo è, per usare due immagini domestiche, la casa familiare in cui si è nati, cresciuti ed a cui si è appartenuti da bambini, o il letto coniugale intorno al quale cresce la casa a cui si appartiene da adulti. In questo senso la intendeva La Pira, quando parlava della Costituzione come “Casa comune”, delineando l’architettura di uno Stato democratico nel quale ciascun cittadino, ciascuna esperienza politica e ciascuna visione dell’uomo potessero sentirsi a proprio agio, accolti e rappresentati.

Seguendo questo progetto i Padri costituenti costruirono questa casa, poggiandola responsabilmente sulle fondamenta stabili del principio della centralità della persona e dei suoi diritti fondamentali.

Non imposero la loro idea e non cercarono di svilire quella altrui. Non rinunciarono alla propria identità, né tradirono gli ideali che li avevano condotti fin lì, attraverso la grande stagione della resistenza al fascismo.

Compresero che i valori avvertiti come primari da ciascuna delle componenti non potevano essere totalmente assorbenti di quelli altrui, né sufficienti per disegnare l’orizzonte reale di uno stato libero e sovrano. Da questa consapevolezza e da questa responsabilità scaturì quell’Accordo di merito e di metodo tra le cosiddette “anime della Costituzione”: quella ispirata alla cultura socialista-comunista, quella espressione del riformismo cristiano e quella di matrice liberale. In ognuna di queste tradizioni emersero punti di riferimento concettuali chiari e uomini capaci di rappresentarli.

Nacque un catalogo di valori e principi in cui l’essere umano, ancor prima del cittadino, può vedere riflessi i propri tratti più alti e sancite quelle fondamentali libertà che garantiscono la sua dignità (libertà di pensiero, di espressione, di fede, di contribuire alla vita sociale mediante il proprio impegno politico, sindacale, culturale etc.). Si tracciò un cerchio ideale al cui centro fu posta la persona con la sua naturale vocazione ad interagire con gli altri (libertà di associazione, valore della famiglia, uguale libertà delle Confessioni etc.). Si riconobbe la eguale dignità di ogni uomo e di ogni donna, basandola su null’altro che sul suo lavoro; a prescindere da come si articoli (diritto al lavoro, libertà di iniziativa economica, autonomia della scienza e dell’arte etc.). Si dette al Paese un prospettiva di collaborazione internazionale col solo vincolo del ripudio assoluto della guerra.

Di fronte a tutto questo una sola cosa venne chiesta a tutti ed a ciascuno: l’inderogabile assolvimento del dovere di solidarietà politica, economica e sociale.

E’ in questo sinallagma tra diritti garantiti a tutti e dovere di solidarietà richiesto a ciascuno che si esprime l’essenza profonda del patto costituente. E’ solo ed unicamente su questo “contratto tra gli italiani” che nasce e si rinnova ogni giorno lo stato. E potremmo dire che lo stato ci sarà, fintanto che sarà sentita questa responsabilità e prestata questa lealtà.

Fin quando conserveremo la consapevolezza che tutto il resto è funzionale al perseguimento di questo obiettivo, potremo rivedere serenamente tutto ciò che vogliamo, per adeguare la struttura e l’equilibrio dei poteri alle necessità contingenti della politica e dell’economia. Potremo farlo perché sapremo che la “casa – per dirla con il Vangelo – è ben costruita sulla roccia”. Sulla roccia della libertà e della dignità umana, conquistata a caro prezzo da chi non esitò sacrificare se stesso per garantirla alle generazioni future.

"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione" (Piero Calamandrei)

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