Sono un millenials. E’ la prima volta che lo dico, ma lo sono davvero. A volte provo ad uscire da me stesso, ma proprio non riesco: uno sguardo di sfuggita al cellulare almeno una volta al minuto, il profilo social sempre aggiornato e l’attesa per la nuova serie del Trono di Spade. Mi travesto: vestito blu, leggo tanti libri ogni anno, mi piace la politica. Purtroppo non ne esco: anche io appartengo alla generazione Y.
Questi 15-35enni hanno subito ogni genere di violenza normativa e hanno pagato per intero la disuguaglianza generazionale che il Paese ha prodotto negli ultimi 20 anni: Bankitalia ci dice che dal 1995 il reddito medio degli over 65 è aumentato del 19%, quello degli under 35 è sceso del 15%.
Aldilà dei livelli occupazionali sui quali adesso sembra ci sia una variazione positiva, basta questo dato per riassumere la sconfitta di una generazione e non solo economica. Soprattutto politica.
Trascinati dallo status quo e dalla indignazione social, ci siamo dimenticati che la politica fa sempre la differenza. Noi invece abbiamo impegnato gli anni migliori della nostra vita a studiare, costruire un profilo personale adeguato al mercato globale e non ci siamo curati di garantire che gli spazi del nostro futuro siano più agevoli e non angusti come quelli in cui ci infileremo.
Troppo semplice dire che è colpa di chi governa, come è troppo semplice per chi ha il potere dare la colpa ai cicli economici o a chi c’era prima: ognuno deve fare la sua parte. A chi governa non c’è molto da dire se non di farsi carico della responsabilità del governo e non solo della rappresentanza: la responsabilità è fare scelte che, per andare incontro al bene comune, non cavalcano le tigri corporative.
È indispensabile in questa fase storica la decontribuzione per chi assume giovani con contratti seri, è indispensabile un grande investimento formativo professionale fattuale, orientativo e generazionale, aldilà delle riforme universitarie utili solo ad abbassare la qualità per alzare il numero dei laureati. E’ necessario tagliare il costo del lavoro e recuperare risorse dai patrimoni, perché in questo Paese c’è un problema di redistribuzione della ricchezza talmente grande che diventa gioco facile per gli speculatori di professione mettere contro giovani e pensionati, come se questi ultimi fossero i nobili di Versailles. Al netto delle evidenti storture del passato, come le baby pensioni e le pensioni d’oro, il punto non è lo scontro generazionale: la grande questione di fondo è quella di riavere una voce forte nel dibattito politico che, come è sempre stato nella storia, nessuno ti concede ma serve fatica, impegno e mobilitazione per ottenerla.
Visto che la politica, nella nostra generazione, non va di moda continuo a camuffarmi. Ma la fabbrica dei poveri è in piena produzione.
Tags: Lavoro Povertà
Comments are closed.
[…] Matteo Bracciali (Segretario Giovani delle Acli) “è indispensabile, in questa fase storica, la […]