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Ieri al tavolo con le parti sociali sulla riforma del lavoro, secondo le prime indiscrezioni, il governo ha presentato un documento riassumibile in pochi punti: tra i temi principali,  la modifica della Cassa Integrazione, il lavoro flessibile e il precariato. È certamente presto per tirare le somme, ma non per cominciare a parlarne, anticipando qualche contro-proposta.
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1) Cassa integrazione rivista e limitata nel tempo.
Si è soliti lamentare un’eccessiva attenzione per la grande impresa, chiedendo l’estensione della cassa anche alla piccole realtà produttiva. In verità la politica industriale la si fa sui grandi gruppi e quindi non sembra illogico prevedere per questi uno strumento specifico. Peraltro la Cassa è uno strumento di sostegno che non è del tutto in linea con il divieto di aiuti di stato: per adesso la cosa è stata messa da parte, sia per la crisi, sia perché la Cassa in deroga è (impropriamente) finanziata con fondi europei.
Piuttosto che sviluppare la cassa, quindi, allargandola alle piccole/medie imprese o ad altri settori, si dovrebbe potenziare il sistema della indennità di disoccupazione, al limite prolungandolo e collegandolo con gli interventi di politica attiva (in questo momento in mano alle Regioni).

2) Lavoro flessibile più caro.
Questo è un po’ un controsenso: per ora il lavoro a termine è legittimo solo per esigenze straordinarie. Se diventa più caro, sarà legittimo sempre. Nel caso della somministrazione, già adesso il lavoro è più caro (si paga il compenso dell’agenzia e una percentuale a fini formativi): non mi pare che questo elemento abbia scoraggiato le imprese dal ricorrere alla somministrazione di lavoro flessibile.
Piuttosto, perché non si fa qualcosa, anche nei confronti degli enti pubblici, contro la finta somministrazione gestita dalle cooperative?

3) Sgravi contributivi per la trasformazione dei contratti precari in lavoro a tempo indeterminato
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Questa pare una misura buona, ma attenzione al divieto di aiuti alle imprese (ne beneficerebbero quanti già hanno rapporti a termine, a danno di quanti sono stati più attenti in passato e principalmente il settore dei servizi).
Piuttosto, perché non incentivare il part-time attraverso sgravi che, in questo modo, andrebbero soprattutto a vantaggio delle donne?

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