La prima parola è periferie, intese come aree delle città; quelle che Marc Augè definisce non luoghi. Ambienti senza anima né una concreta identità sociale che non sia quella della strada e dei suoi effetti devastanti e incontrollati; là dove mancano i servizi, le suole, le biblioteche o un semplice luogo di ritrovo dove poter fare sport. Dare a bambini e ragazzi questi servizi significherebbe intercettarli e sottrarli a una vita che, purtroppo, è segnata dalla devianza. Di questo dobbiamo sentirci tutti responsabili, in quanto incapaci di capire e fornire ai ragazzi i mezzi per sottrarsi a questo destino. Molti giovani sono obbligati a vivere ampi spazi dove gli individui si incontrano, ma restano sempre soli perché non entrano in relazione tra di loro, non riescono a integrarsi, a guardare a modelli diversi rispetto a quelli del proprio quotidiano e costretti a una condizione di povertà educativa.
Siamo così al secondo termine. La povertà educativa, va di pari passo a quella economica. Là dove c’è degrado, miseria, crisi, c’è anche povertà educativa. Sono due aspetti che si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, assistiamo a un’inversione di tendenza, i figli stanno peggio dei genitori. Chi nasce povero muore povero. Abbiamo prodotto una società fortemente classista, dove il povero non ha i mezzi per uscire dalla propria condizione di vita e i suoi figli vivranno sempre quella condizione. Contrastare la povertà educativa può essere il principale strumento per permettere ai tanti ragazzi che vivono in condizioni di disagio, di migliorare la propria vita e uscire fuori dalla dimensione chiusa in cui sono obbligati a vivere e crescere dalla nascita, una sorta di “ghetto” predeterminato.
La povertà educativa non è un problema locale, ma riguarda il nostro intero Paese da Nord a Sud, anche se con diverse intensità. Sicuramente nascere in una periferia napoletana è diverso da quella emiliana, ma nelle grandi città i “non luoghi”, quegli agglomerati urbani che vivono di autosussistenza, sono in grado di fagocitare i giovani con la stessa durezza e violenza. Io credo che per combattere questa dimensione sia necessario avviare un percorso comune tra le agenzie educative preposte, come la scuola, le associazioni, le parrocchie e la famiglia. Solo attraverso questa strada si può creare quel terzo mattone, in grado di generare un reale cambiamento. Mi riferisco al ruolo della comunità educante. Un termine, che potrà apparire superato, in questa epoca di comunicazione sommaria e di post-verità, rappresenta invece la risposta che la società dovrebbe dare a bambini e ragazzi.
La comunità educante è l’insieme di varie dimensioni e attori che, a partire dal ruolo centrale della scuola e dei servizi alla prima infanzia, unitamente a quelli di educativa territoriale e di sostegno, accompagnamento e cura dei servizi sociali e sanitari, concorrono a formare i minori.
La diffusione, in alcuni contesti, di una "cultura dell’illegalità", che rischia di delegittimare il lavoro di educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità democratica, sono tre aspetti che provocano profonde e durature conseguenze sul benessere e lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Cambiare si può e si deve.
Il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, sta cercando di mettere insieme questi tre mattoncini per dare una opportunità a bambini e ragazzi di costruire il proprio futuro. E per intraprendere, lentamente ma in modo solido, un reale e concreto percorso di sviluppo e di cambiamento. Sturzo diceva una cosa molto attuale e cioè che la “Libertà è come l’aria: si vive nell’aria, se l’aria è viziata, si soffre, se è insufficiente si soffoca, ma se manca si muore”. Il nostro compito deve essere quello di garantire ai tanti giovani e bambini la libertà, l’aria, la possibilità di scegliere e migliorare il proprio futuro a partire dal presente.
Per cercare di dare risposte concrete, in termini di opportunità, è stato costituito il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nato da un accordo tra Fondazioni di origine bancaria e Governo. Il Fondo è destinato al sostegno di interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. La governance del Fondo è affidata a un Comitato di Indirizzo Strategico, composto da quattro rappresentanti del Governo, quattro delle Fondazioni, quattro del Terzo Settore, due esperti in materie statistiche nominati dall’Isfol e uno dall’EIEF – Istituto Einaudi per l’economia e la finanza.
Soggetto attuatore del Fondo è l’impresa sociale “Con i Bambini” – nata lo scorso 15 giugno 2016 interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD – che è entrata nella fase di piena operatività attraverso la pubblicazione il 15 ottobre sul sito www.conibambini.org dei primi due bandi elaborati sulla base delle linee guida tracciate dal Comitato di Indirizzo Strategico.
Con i Bambini è una società senza scopo di lucro che ha per oggetto l’attuazione dei programmi del Fondo. Il primo atto della neonata impresa sociale è stata la realizzazione di due bandi: prima infanzia (0-6 anni) e adolescenza (11-17 anni). L’invito è stato rivolto a livello nazionale alle organizzazioni del terzo settore e al mondo della scuola per presentare proposte di progetti per il contrasto alla povertà educativa minorile. A disposizione ci sono complessivamente 115 milioni di euro (69 milioni di euro per la “Prima Infanzia” e 46 milioni di euro per “Adolescenza”). Una quota delle risorse sarà ripartita a livello regionale, in relazione ai bisogni di ciascun territorio. Nella programmazione del secondo anno, il Fondo promuoverà interventi rivolti anche ad altre fasce d’età per un importo complessivo di 120 milioni di euro.
Il Bando per la prima infanzia ha l’obiettivo di potenziare l’offerta di servizi di cura ed educazione dedicati ai minori tra 0 e 6 anni, con particolare riferimento ai bambini appartenenti a famiglie in difficoltà, promuovendone la qualità, l’accessibilità, la fruibilità, l’innovazione. Un ruolo centrale dovranno avere le famiglie, da coinvolgere attivamente negli interventi sia nella fase di progettazione che in quella di realizzazione delle attività. Il Bando dedicato all’adolescenza si prefigge di promuovere e stimolare il contrasto dei fenomeni di dispersione e abbandono scolastici, nonché situazioni di svantaggio e di rischio devianza, particolarmente rilevanti tra gli adolescenti che vivono in contesti ad alta densità criminale. Le proposte dovranno prevedere azioni congiunte “dentro e fuori la scuola”, per riavvicinare i giovani che hanno abbandonato gli studi o che presentano forti rischi di dispersione.
La promozione della “scuola aperta”, ossia un luogo di apprendimento, confronto, socializzazione e crescita, con l’auspicata partecipazione, fin dalla fase di progettazione, degli Istituti scolastici. A testimoniare l’esigenza di interventi per i minori parlano i numeri di idee progettuali pervenute. Sono quasi 1200 le proposte presentate da tutto il territorio nazionale a conclusione della prima fase e adesso in fase di valutazione per accedere alla seconda fase.
Attraverso il Fondo, stiamo cercando di rispondere alla fragilità di giovani e bambini, certamente non è una sfida semplice, ma se non partiamo non possiamo pensare di costruire un futuro diverso.
E per affrontarla nella pluralità dei suoi aspetti, insieme allo Stato ci deve essere l’intera comunità, che così diventa comunità educante. Le fondazioni di origine bancaria e le organizzazioni del privato sociale, insieme a Governo e Terzo Settore devono stare in prima linea. Si tratta ovviamente di un piccolo passo, ma sicuramente importante, trasparente, diretto per le Fondazioni e rivolto ai Bambini per costruire opportunità.