Il tema del precariato ormai è diventato un luogo comune, soprattutto quando si parla di scuola, università e giovani. Allo stesso tempo è un problema che tutti conoscono, ma di cui sembra che nessuno si voglia occupare, specialmente a livello politico. Ed ecco che tocca nuovamente al Presidente della Repubblica portare l’attenzione su di esso, cercando, probabilmente per l’ennesima volta invano, di vincere l’indifferenza della politica nei confronti dei giovani e del loro futuro.
Il messaggio di Napolitano è, infatti, significativo per riflettere sull’incapacità delle generazioni presenti di assumersi la propria responsabilità “generativa” verso le generazioni future, cioè i bambini e i giovani di oggi. Tale responsabilità consiste sia nel cercare di trasmettere ai giovani, con il proprio esempio e con le politiche e le azioni messe in atto dalle generazioni attuali, quel patrimonio di esperienze, valori e ideali che costituiscono le basi essenziali di una società per essere integrata, solidale e coesa. Ma consiste anche nel salvaguardare e valorizzare il capitale umano e le sue risorse di creatività e d’innovazione, indispensabili per la crescita economica e sociale.
Se analizziamo questi due aspetti ci accorgiamo che l’Italia ha livelli molto critici di responsabilità generativa. Innanzitutto, la scuola e l’università sono affidati sempre di più ai giovani precari, mal pagati e demotivati dalle prospettive future. Eppure, si dimentica che il sistema educativo è il principale agente di socializzazione, cioè di trasmissione dei valori, degli ideali, delle competenze, del patrimonio di esperienze che rendono una società quella che è. Come ci si può aspettare che tutto ciò sia trasmesso alle generazioni future se il compito viene affidato sempre di più a precari, giovani e meno giovani, demotivati, preoccupati essi stessi del loro futuro e sfiduciati nei confronti di quelle istituzioni di cui devono trasmettere storia, ideali e valori?
Un’altra riflessione viene dal secondo aspetto della responsabilità generativa che evoca la celebre teoria dello sviluppo dell’economista sociologo Joseph Schumpeter. Il vero sviluppo economico e sociale, quello in grado di cambiare la situazione di un Paese, non può essere avviato da mere politiche sociali di taglio dei costi o delle tasse, ma solo attraverso processi di innovazione in grado di essere imitabili da altri e di cambiare lo status quo non solo in campo economico, ma anche in tutti gli altri, compreso quello politico. Ma cosa occorre per avviare questo meccanismo virtuoso di sviluppo? Ancora una volta serve la responsabilità generativa delle generazioni attuali che devono saper creare le condizioni politiche, sociali, istituzionali e lavorative affinché i talenti del nostro Paese siano incentivati a realizzare le loro innovazioni, evitando di rinunciare ai propri progetti perché demotivati e sfiduciati dalle troppe difficoltà o, peggio ancora, attratti dalle possibilità che trovano all’estero.
Infine, va fatta un’ultima osservazione, a me molto cara, sul precariato e la responsabilità generativa di chi governa oggi. Come è noto dalle statistiche e dagli studi sociologici sulla percezione della vita del “precario”, lo status di insicurezza lavorativa ed economica porta i giovani a ritardare la creazione di una famiglia e, soprattutto, la decisione di avere più figli. Anche qui, le generazioni attuali (come i politici, ma non solo) non si accorgono o non si curano del danno che stanno producendo nei confronti delle generazioni future che, a ben riflettere, è quello più grave tra tutti quelli sinora elencati, poiché riguarda la possibilità stessa di avere una generazione futura. Meno figli significa meno individui a cui trasmettere il nostro patrimonio di conoscenze ed esperienze, gli ideali e i valori per cui siamo vissuti. Ma significa anche avere meno innovatori capaci di migliorare le nostre condizioni di vita e la nostra società.
Per tutte queste ragioni credo che il monito di Napolitano meriterebbe maggiore riflessione e azione da parte di tutti quanti.