La maggior parte del terreno perso è quello con la maggior potenzialità produttiva e la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Il danno stimato per il nostro Paese è di circa un miliardo di euro all’anno, per il servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire. Mentre la Camera ha approvato a maggio un disegno di legge, ora al Senato, che riconosce il suolo come bene comune, con l’obiettivo di azzerarne il consumo entro il 2050, è ufficialmente partita il 22 settembre scorso la campagna People4Soil, una rete di 350 organizzazioni impegnate nella raccolta di un milione di firme per proteggere il suolo.
Il suolo è un bene comune. Il suolo è cibo, natura, salute. È vita, grazie alla sua sostanza organica in cui si accumula gran parte del carbonio della biosfera. Eppure è una risorsa finita, che l’uomo sta asfaltando, cementificando, contaminando e consumando con troppa disinvoltura. In Europa ogni giorno spariscono 300 ettari di suolo, che tradotto significa consumare in un anno un’area grande come Roma.
Dopo paesi come Olanda, Belgio e Germania, il nostro è uno degli Stati europei che più ha sacrificato territorio all’urbanizzazione. Nel solo triennio 2012-2015 il suolo “sigillato” nel Belpaese è aumentato dello 0,7%, invadendo le sponde di fiumi e laghi (+ 0,5%), coste (+ 0,3%) e aree protette (+ 0,3%), avanzando addirittura in zone ad elevato rischio sismico (+ 0,9%), da frana (+ 0,3%) e idraulica (+ 0,6%), come fotografa l’ultimo rapporto Ispra.
Per tentare di frenare questa deriva, una rete europea di ong, istituti di ricerca, associazioni di agricoltori e gruppi ambientalisti ha lanciato la campagna People4Soil. L’obiettivo è raccogliere un milione di firme in tutta Europa affinché venga adottata una legislazione specifica in materia di tutela del suolo, che fissi principi e regole valide per tutti gli Stati membri. E’ necessario che l’Europa riconosca il suolo come un bene comune essenziale per la nostra vita e assuma la sua gestione sostenibile come impegno prioritario. Quando nel 2014, durante la Conferenza della custodia del territorio a Barcellona, fu lanciata l’idea di un movimento europeo per la terra non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, ma avevamo chiaro che le forme istituzionali di tutela del territorio non bastano a fermare il consumo di suolo. Per questo serve una chiamata di cittadini e proprietari, a vario titolo custodi del territorio, con regole chiare che ne premino le condotte responsabili anziché i comportamenti speculativi.
In Italia il consumo di suolo viaggia, come detto, alla velocità di 4 metri quadrati al secondo, circa 35 ettari al giorno. La maggior parte del territorio perso, rende noto Ispra sulla base di uno studio condotto in Abruzzo e Veneto, è di buona qualità, quello con la maggiore potenzialità produttiva. Con l’aggravante che la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Un danno che costa all’Italia una cifra che si avvicina al miliardo di euro all’anno. È infatti di 800 milioni il prezzo che gli italiani potrebbero pagare, dal 2016 in poi, per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi tre anni.
Si tratta di costi occulti, quelli non percepiti ma dati dal servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita: 400 milioni di euro per la produzione agricola, 150 per lo stoccaggio del carbonio, oltre 120 per la protezione dall’erosione, quasi 100 per la mancata infiltrazione d’acqua, ma anche i 3 milioni per l’assenza di impollinatori. Per la regolazione del microclima urbano – a un aumento di 20 ettari di suolo consumato per km2 ne corrisponde uno di 0,6° C della temperatura superficiale – è stato stimato un costo che si aggira intorno ai 10 milioni di euro. A pagare di più, in tutti i sensi, sono le città metropolitane: Milano con 45 milioni, Roma con 39 e Venezia con 27.
Quando consumiamo suolo perdiamo la capacità del terreno di produrre alimenti, di filtrare l’acqua, di mitigare gli eventi alluvionali o l’erosione, l’acqua si inquina di più, l’aria peggiora e aumentano le temperature in città. Possiamo quantificare la perdita dei servizi ecosistemici sia dal punto di vista biofisico che economico sui costi di sostituzione, su quanto cioè dovremmo spendere per mantenere lo stesso livello di benessere. Il danno calcolato sottostima il valore complessivo della perdita di suolo, visto che considera solo una parte dei cambiamenti avvenuti e una parte dei servizi ecosistemici che il suolo ci offre. Alcuni di questi sono difficili da valutare e quantificare: se perdiamo paesaggio, ad esempio, andrebbe calcolato anche quanto perde il turismo.
Malgrado ciò, e nonostante gli anni di crisi, l’Italia consuma suolo anche dove la popolazione non cresce. E i piccoli comuni, quelli con meno di cinquemila abitanti, sono i meno efficienti: per ogni nuovo abitante divorano mediamente fra i 500 e i 700 m2 di suolo contro i 100 di quelli con più di 50mila abitanti. L’Italia ha insomma urgente bisogno di invertire la rotta.
Se l’Italia piange, col suo 7% di territorio nazionale “consumato”, l’Europa non ride. Olanda, Belgio, Lussemburgo, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Danimarca precedono il Belpaese in termini di superficie urbanizzata. Nel Vecchio continente le aree urbanizzate arrivano a quasi 200.000 km2, più o meno la grandezza della Gran Bretagna.
Non bisogna dimenticare che il consumo di suolo è legato alla pianificazione e questa è esclusa dalle competenze dell’Ue, che può solo dare linee guida, consigli. Ma ai ritmi attuali d’urbanizzazione molto prima di fine secolo avremo consumato un’altra fetta di territorio europeo, grande come l’Ungheria. È tempo di adottare strumenti dedicati e giuridicamente vincolanti.