Proponiamo un’intervista ad Andrea Lucchetta, campione del mondo di volley nel 1990 con la nazionale italiana e telecronista Rai

Che cosa hai imparato dalla tua esperienza agonistica? In cosa sei cresciuto come? Quali valori hai sperimentato? In che modo i valori dello sport possono aiutare la nostra società?

Lo sport per me è soprattutto avere una possibilità di socializzazione. Il divertirsi, l’essere in strada tra amici, tra compagni, il condividere con gli altri dei momenti di divertimento sono elementi essenziali. Io ho iniziato così, in strada con gli amici, poi in oratorio e a scuola. In questi luoghi ho imparato i criteri base dello sport che si fondano sulla condivisione di un’esperienza con i compagni. All’inizio praticano il tennis sia da solo che in doppio. Ma questa esperienza mi stava un po’ stretta perché si tratta di uno sport individuale. Poi a scuola e in oratorio, dai salesiani, ho incominciato ad appassionarmi allo sport di gruppo e ho capito che l’impegno individuale deve essere sempre posto a servizio degli altri, deve essere visto come un contributo per gli altri. Così ho iniziato a giocare a pallavolo dove devi sempre passare la palla al compagno senza farla cadere a terra. Questo messaggio è molto importante in uno sport dove tutti i gesti contengono elementi di altruismo, di forte contenuto etico, spirituale. Le braccia distese (ricezione), i pollici in alto e le mani che alzano il pallone, sono gesti di accoglienza. Senza dimenticare il passaggio del pallone ai compagni che è un elemento di importanza fondamentale. Nel nostro sport la rete ci divide dagli avversari e questo segna una barriere fisica, un’impossibilità di colpire l’avversario. E’ sintomatico il fatto che la fase di attacco nella pallavolo parta proprio dalla difesa che è fondamentale per attaccare bene. C’è una spiritualità del gesto tecnico e del gioco di squadra nel suo complesso che credo siamo molto importanti anche sul piano sociale. Come giocatori siamo chiamati a trasformare la nostra esperienza sportiva ad essere e diventare modelli in campo e fuori. Purtroppo noto come nel calcio si sia presa ormai una deriva negativa.

Credo che sia fondamentale far passare il messaggio della squadra. Capire come sia possibile accendere lo spirito di squadra, lo spirito di Olimpia. E questo il senso della mia idea e della co-produzione della serie di cartoni animata Spike Team dove Lucky, l’allenatore delle Spikes, cerca di infondere nella sua squadra lo spirito di Olimpia consegnando sei pietre che corrispondono a sei virtù dello sport: forza, lealtà, coraggio, tenacia, sacrificio, equilibrio. In particolare a mio avviso lo sport deve essere un fattore di inclusione soprattutto verso chi presenta delle disabilità. Queste persone non devono essere escluse, non devono essere messe fuori dal campo ma devono stare con gli altri.

2. Quale è stata la giornata più bella della tua esperienza di grande giocatore di volley e quale la più brutta? Come le hai vissute? Che ricordo ne hai?

Ricordo il primo scudetto a Modena, la vittoria degli europei e i mondiali. Ho vissuto un percorso che mi ha portato a vincere i mondiali nel 1990, in Brasile. Sicuramente arrivare a vincere un mondiale è il coronamento di molti sacrifici, è motivo di grande gioia per aver raggiunto l’obiettivo massimo per un giocatore di pallavolo. Infatti le Olimpiadi sono un’esperienza diversa che ha in sè una sua spiritualità. Appena ricevuta la medaglia, appena finita la grande gioia per la vittoria, lo ho girata e ho capito che era finito tutto e che ho provato un po’ di tristezza. Mi sono sentito svuotato. Sapevo anche che dopo dieci anni avrei lasciato Modena e quindi ero ad un momento di svolta della mia vita. Dovevo ricominciare tutto di nuovo. Il momento più negativo è stato quello delle Olimpiadi di Barcellona del 1992 dove l’Italia partiva come favorita. Siamo usciti ai quarti di finale perdendo con l’Olanda per 3 a 2. Un momento triste della mia vita è legato alla morte di una ragazza mia amica, malata di leucemia. Questa vicenda mi ha spaccato il cuore.

Ti sappiamo impegnato sul tema del bullismo e con Francesco Graziani, Jury Chechi e Adriano Panatta, sei stato impegnato nel progetto “Banca Generali – Campione per Amico” rivolto ai bambini delle scuole elementali e medie romane. Ci puoi spiegare il senso e gli obiettivi di queste iniziative?

Seguo il progetto “Banca Generali – Campione per Amico” da quattordici anni. Ti do anche dei numeri. Ho realizzato 1 milione e 200 mila palleggi e 50 mila animazioni di classi che con noi hanno giocato nelle piazze. Per me questa è una esperienza molto bella che mi consente di far passare i miei concetti, i miei gesti (le mani), i miei valori, la mia idea di sport ai bambini e ai ragazzi. In particolare per me è molto importante avere un’attenzione particolare ai ragazzi con disabilità che spesso non vengono portati in campo. Si devono sentire parte della classe, non devono venire emarginati dai loro compagni.

Oggi faccio anche il telecronista per la Rai e cerco di far passare i miei messaggi anche dopo le telecronache fermandomi a parlare con i ragazzi. Parlo del bullismo, di come lo sport può aiutare a rimettersi in pista. E questo il messaggio che ho voluto lanciare anche attraverso la realizzazione del film Il sogno di Brent che invita i giovani a riflettere sull’importanza di rispettare le regole, nel caso specifico i segnali stradali (prevenzione stradale). Il fare squadra serve anche per emarginare i bulli, per far cambiare il loro comportamento, ci aiuta a capire il compagno che è in disagio. Bisogna essere sempre attenti a chi ha problemi, essere vicini per evitare che si arrivi a gesti come quello di togliersi la vita perché ci si sente esclusi. Il fare squadra ci aiuta e capire come sostenere i compagni, come aiutarli a tirare fuori quello che hanno dentro. Insomma fare squadra nello sport e nella vita.

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