Chi fa sport, ma anche chi si limita solo a “seguirlo”, è consapevole che questa esperienza è pregna di tutti quei valori che tessono il quotidiano vivere e che coinvolgono la stessa capacità umana di discernere e di prendere decisioni, ovvero di incidere su quella che viene chiamata la “sfera morale”.
Lealtà, coraggio, determinazione, rispetto di sé e delle regole, perseveranza, volontà, inclusione, partecipazione (solo per citarne alcune) sono al contempo, ancorché qualità umane, valori e virtù, che consentono di accrescere il benessere della persona nella sua integralità, contribuendo a renderla equilibrata, forte, armoniosa, positiva.
Lo sport, in tal modo, diventa un privilegiato “ambiente educante”, dove ciascuno, pur salvaguardando la propria originalità, ha l’opportunità di tendere al miglioramento continuo. La competizione, dentro a questa logica, non sarà più intesa come un evento finalizzato ad annientare una delle parti in causa, ma più coerentemente diventerà il momento apicale di confronto, dove sarà possibile misurare il reale livello di preparazione delle parti in campo.
Quanto più questa esperienza sarà vissuta bene, in pienezza e in verità, tanto più essa andrà a segnare la qualità di vita delle singole persone, anche al di fuori dell’ambiente sportivo, andando a incidere persino, anzi proprio, sulle loro relazioni personali e interpersonali, pubbliche e professionali, contribuendo con ciò a far crescere una più consapevole etica civile.
Lo sport, quando vissuto con questa consapevolezza e passione, diventa quello spazio e quel tempo privilegiato «dove l’essere umano – come scrive il filosofo morale, Antonio Da Re – scopre di essere abitato da un desiderio insopprimibile di trascendimento di sé, alla ricerca di bellezza e di perfezione … (attività che potrà essere definita) “naturalmente” etica, in quanto trascina con sé una costellazione infinita di valori che sono nell’ordine della gratuità e che nascono dalla libertà».
I valori, nello sport come nella vita, non sono mai fine a sé stessi, ma sempre relativi, in quanto diventano veri e credibili solo se vengono misurati: per poter davvero “contare” (valere), insomma, i valori devono essere tradotti in comportamenti, in buone pratiche e, soprattutto, anche in processi di gestione misurabili.
Per questo, si può correttamente affermare che lo “sport è etica”. L’etica, infatti, non potrà mai essere intesa come una più o meno lunga sequenza di princípi o di regole, né come una medicina destinata a sanare le più diverse criticità o devianze, presenti anche nello sport: si deve piuttosto pensare a un modo d’essere, a uno stile di vita, anzi a un desiderio, un auspicio, un sogno tanto più forte e credibile quanto più saprà trasformarsi in segni, azioni, modelli che siano leggibili, anzi, più precisamente, “certificabili”.
La “certificazione etica nello sport” di cui parla Esicert (Istituto di certificazione etica nello sport SpA Impresa Sociale), però, non punta a rilasciare bollini blu o “patenti etiche” né a dichiarare se una organizzazione sportiva sia etica al 25% o al 90%. Con la Norma ESI 101:2010 (che si ispira alla logica del rating delle norme ISO) e grazie allo specifico Protocollo di Verifica messo a punto in sinergia con Bureau Veritas, uno dei maggiori Istituti Internazionali di Certificazione, Esicert va a leggere, da una parte, quali siano i valori dichiarati e, dall’altra, va verificare quali siano le azioni e i processi corrispondenti ai valori dichiarati che siano oggettivamente stati messi in atto. Con altre parole: la certificazione etica va a riconoscere quale sia l’orientamento etico (valori) e i corrispondenti processi di gestione (azioni), per constatare e certificare se e quale sia lo status di corrispondenza tra le parole e i fatti, tra i princípi e i comportamenti.
Organizzazioni sportive che siano preoccupate di far crescere donne e uomini sportivi riusciti nella vita, non solo nello sport, diventeranno sempre più “ambienti parlanti”, ovvero ambienti capaci di attrarre giovani e adulti, fino a persuaderli della forza educativa intrinseca alla pratica sportiva, rendendoli consapevoli, in particolare, che se un “progetto” non diventa un “percorso” non otterrà risultati e, soprattutto, non sarà davvero vincente né esemplare.
Non si può vivere senza ideali: sarebbe come voler volare senza ali. Ma non è sufficiente nemmeno solo dichiarare di avere degli ideali, senza poi saperli tradurre in comportamenti, scelte, relazioni, responsabilità tali da lasciar trasparire, pur senza ostentazione o presunzioni, coerenti “stile di vita”, leggibili, misurabili e, alla fine, … imitabili. Lo sport, solo se vissuto in pienezza e nella concreta applicazione dei valori che custodisce in sé, riuscirà davvero a mettere “le ali” alla vita, non solo allo sport.
“Leali nello sport, leali nella vita”, dunque, non è solo uno slogan, ma un obiettivo, una destinazione, che punta a rendere bella, buona, riuscita, significativa e significante l’esistenza di ogni singola persona e quella dell’intera collettività civile. E così, davvero, attraverso lo sport, sarà possibile promuovere anche una “nuova etica civile”.